27.6.19

Dolor y gloria di Pedro Almodóvar


Osannato!
Da tutti.
Grandi e piccini.
Critici affermati e vicini di poltrona.
E Antonio Banderas si è aggiudicato il premio per miglior attore al Festival di Cannes

A me non è piaciuto un granché e neanche alla mia vicina di poltrona di sinistra. A quello di destra sì. Ma siccome è difficile trovare una critica negativa la mia recensione è totalmente personale, le mie opinioni soggettive che più soggettive di così non si può.

Poi, non lo so, incontriamoci noi pochi che non abbiamo amato l'ultima fatica di Almodóvar, così per darci manforte. Ho conosciuto anche un'altra persona a cui non è piaciuto ma ho avuto l'impressione che fosse una di quelle persone a cui non piace mai niente che deve criticare sempre tutto. E io giuro non sono così.

Non è un brutto film ma non l'ho trovato neanche quel capolavoro che tutti stanno dicendo. Ho capito il senso del film, autobiografico, di voler ripercorrere la propria vita creativa e affettiva arrivati in un periodo difficile della propria vita: il protagonista Salvador Mallo è un regista anziano, in profonda crisi creativa, depresso e pieno di acciacchi. Ma per quanto gli arruffino i capelli e lo vestano con i maglioncini colorati di Almodóvar, Banderas non mi fa pensare né al regista spagnolo e né lo trovo credibile come persona in là con gli anni che ripercorre la sua vita dall'infanzia e cerca di recuperare pezzi di vita andati persi. I suoi acciacchi inoltre sembrano tutti finti.

Ecco il film è come composto da tanti pezzi. Di due tipi. I pezzi costituiti dai flashback in cui Salvador Mallo era un bambino, la sua mamma era Penelopez Cruz e vivevano in una specie di grotta, un po' scomoda ma bellissima. I flashback sono tutti incentrati sulla madre (tutto su mia madre del resto) e arrivano anche all'epoca presente. L'altro tipo di pezzi sono nel tempo presente: c'è il pezzo dove Mallo va trovare dopo più di trent'anni l'attore principale del suo film più famoso e con il quale aveva litigato. C'è il pezzo in cui comincia a drogarsi, non l'aveva mai fatto prima. C'è il pezzo del mal di schiena che non lo abbandona mai e che lo impedisce in tanti movimenti che sarebbero banali. C'è il pezzo in cui incontra il suo ex grande amore (l'unico pezzo che mi è veramente piaciuto). C'è il pezzo dal medico. E altri ancora. La mia personalissima, soggettivissima impressione è che questi pezzi non leghino fra loro. Forse è un problema di montaggio? Secondo la mia vicina di poltrona di sinistra, Almodóvar doveva portare il film al Festival di Cannes è ha un po' tirato via.

Ma però siccome non sono una che deve sempre criticare tutto parliamo anche delle cose belle. La cosa che mi ha colpito di più del nuovo film di Almodóvar sono i colori già presenti nei titoli di testa (ultimamente si vedono poco i titoli di testa nei film, a me invece piacciono, segnano l'inizio del film, separano la vita là fuori, dal racconto lì dentro, come l'invocazione prima di praticare yoga) e poi in tutto ciò che è presente nell'inquadratura: le camicie dei personaggi, le carte da parati, i pavimenti, i poster alle pareti, i divani, le tazze da tè, anche il bianco è colorato in Dolor y gloria, colori pieni, non pastello, non sfumati e accostamenti contrastanti. Colori contrastanti che però si legano benissimo tra loro.

1 comment:

Michele said...

De gustibus non est disputandum. Certamente non è un capolavoro. Ma è un racconto onesto ed efficace.