31.5.07

Oui, c'est un peu moi

Sì, un pochino mi ci rivedo in questa descrizione del cinefilo fissato descritto da Lia Celi; tranne per la parte su Lars Von Trier: che ci provi a telefonarmi, avrei da dirgliene quattro.

Fra tutte le brutte cose che terminano in “-filia”, la cinefilia rimane in fondo la più innocua. La macchietta del moviegoer bilioso immortalata da Nanni Moretti più di vent’anni fa ha sdoganato la categoria presso i quarantenni, ma oggi le generazioni più giovani sono impreparate a confrontarsi con spettatori a ridotta capacità di appiattimento. Uno degli ostacoli maggiori alla serena convivenza fra noi e i cinefili è la loro patologica suscettibilità. Ma basta evitare alcune frasi pericolose, e li vedremo sempre mansueti come agnellini.

“CHISSA' COSA DARESTI PER ESSERE A CANNES, EH?”

Sconsigliabile. Il cinefilo doc oggi prende in considerazione solo festival semiclandestini in luoghi impervi o desertici. Del resto solo i profani credono che Cannes sia ancora una rassegna cinematografica, e non la vetrina delle ultime novità trucco-capelli dell'Oreal, l'unico colosso della cosmetica il cui parco-testimonial annovera più attrici e modelle dell’agenda del pm John Woodcock...
Ormai la Croisette sembra il Cosmoprof, e molti film fanno venire il latte detergente alle ginocchia. La polizia cittadina ha ordini severi: vanno respinti alla frontiera tutti coloro che non hanno una prenotazione in un quattro stelle e che alla domanda “Lei perché è a Cannes?” non rispondono con la parola d’ordine “Perché io valgo”.

“AL CINEMA XY C'E' L'ULTIMO KAURISMAKI, ANDIAMO A VEDERLO DOMANI SERA?”

Follia pura. Domani è troppo tardi. Il giornale, il sito Internet e il cassiere del cinema assicurano che starà su per due giorni, ma il cinefilo sa che se stasera non si staccano almeno venti biglietti, la vostra raffinata cine-chicca verrà brutalmente sloggiata da “Pirati dei Caraibi 25: fateci scendere da qui”, “Il grosso grasso matrimonio dell’amico della migliore amica ispanica del fidanzato gay di mio suocero boss della mafia”, "Ti trombo, ti sposo, ti lascio, ti investo con la macchina, ti risposo, ti tradisco ma poi ti dono un rene e tu mi scrivi una canzone" o qualche altra cagata hollywoodiana. Il cinefilo è come un’ambulanza: appena gli segnalano un film d’autore in una sala nel raggio di 50 km, molla tutto e corre a sirene spiegate prima che sia troppo tardi. In genere i gestori assegnano al film “difficile” il giorno infrasettimanale più sfigato, in genere coincidente con il turno di chiusura delle pizzerie. E’ quasi meglio nelle odiate multisale, dove c’è sempre una saletta dedicata ai cinefili, quando non viene utilizzata come sgabuzzino per le scope.

“REPUBBLICA DICE CHE NON E' MALE”.

Non azzardarti. Il maniaco del grande schermo si fida più dei graffiti nei cessi che dei critici dei quotidiani. Tutti pagati, tutti fighetti, tutti somari. Non è che stimi di più i giudizi delle riviste specializzate: ha un’irrazionale diffidenza per chiunque scriva di cinema a pagamento su supporto cartaceo (quando ha scoperto che anche Godard e Truffaut avevano un passato da critici cinematografici gli sono caduti nella stima). Per lui gli unici pareri attendibili stanno nel blog di un fuoricorso del Dams afflitto da disturbo bipolare che conoscono in quattro gatti.

“TI VA UN PO' DI POPCORN?”

Come minimo andrà a sedersi sdegnato cinque file più in là. Per il cinefilo la visione è sempre un’esperienza mistica e totalizzante, anche a una retrospettiva di Bombolo e Cannavale. Afflitto da una sensibilità da principessa sul pisello, un solo popcorn sotto il suo sedile gli procura un acuto dolore fisico e il crocchiare del sacchetto lo rende idrofobo (però sarebbe anche ora di inventare sacchetti da popcorn che non crepitino come una mitragliatrice della Grande Guerra appena li si prende in mano).

“ANDIAMO VIA, CI SONO I TITOLI DI COD.”

Se c’è un modo infallibile per scivolare a meno 700 nella stima di un cinefilo, è uscire dalla sala prima dell’ultima riga dei titoli di coda, nel tentativo di evitare la calca (in realtà è il modo migliore per beccarla, visto che lo fanno tutti) Se non ti interessa sapere chi era il secondo maestro di scherma della quarta unità impegnata negli esterni a Ulan Bator, penserà che sei un ottuso zuccone e ti toglierà il saluto. Se vuoi piacergli, fa’ come lui: scruta minuziosamente l’interminabile lista di credits emettendo ogni tanto qualche “hmm” competente, come se conoscessi l'intero curriculum vitae di ogni membro della troupe.

“PERCHE' VEDI, LARS VON TRIER SI ISPIRA ALLA TECNICA DEI REGISTI HARD...”

Naaah, non tentare di battere il moviegoer sul campo del trivia cinematografico. Lui il giochino “la sai l’ultima su Von Trier?” lo fa dai tempi delle “Onde del destino”, anzi, il profeta di Dogma gli telefona per aggiornarlo sulle sue ultime bizzarrie. Meglio spiazzare il cinefilo facendo name-dropping a casaccio e sparando accostamenti senza capo ne coda, ma in tono ultra-assertivo: Almodovar ormai cita David Lean, Yang Zhimou plagia smaccatamente Camillo Mastrocinque, Tarantino sta girando il remake del "Posto delle fragole" con Bud Spencer e un cameo di Uma Thurman nel ruolo di un postino trans zombi venduto alla yakuza. Lì per lì lo vedrai sbiancare, ma poi ti darà ragione.

Sul blog di Lia Celi anche da leggere l'articolo "Tutti in piazza per il family dead"

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