Mi sono abbonata ad un videonoleggio on-line: funziona che stili la tua lista di film, ti arriva il primo, lo guardi, lo rispedisci, loro ti inviano il successivo, e così via. Quindi può succedere che tra quando lo ordini a quando lo vedi effettivamente passa del tempo. Stasera ho visto “In America” di Jim Sheridan. Dopo averlo visto mi sono chiesta: perché lo avevo scelto? Sicchè sono andata a controllare la recensione , che diceva: dramma commuovente che racconta la storia di una famiglia irlandese, emigrata in America negli anni ’80. Un susseguirsi di azioni comiche e tragiche. Candidato a tre premi Oscar, a vari Academy Awards, a vari Independent Spirit Awards
Inizio del film: frontiera Canada-Stati Uniti, dialogo tra doganiere e la famiglia (babbo, mamma, due bambine, in macchina):
Doganiere: quanti figli avete?
Babbo: tre
Mamma: due
Bambina di 10 anni: eravamo tre, ma il mio fratellino è morto
(e già qui conosco qualcuno che direbbe: ma è un film che promette benissimo!). La trama prosegue più o meno così:
Arrivano a NY. Non hanno una lira. Il padre attore teatrale fa varie audizioni, ovviamente senza successo. Le bambine vengono iscritte ad una scuola, dove sono emarginate in quanto irlandesi. Alla festa di Halloween vincono il premio per i migliori costumi fatti a mano. Nel condominio dove vivono, nella zona popolata solo da trans e drogati, le bambine fanno amicizia con un nero africano, inizialmente molto poco socievole. Il nero nel corso del film muore, verosimilmente di AIDS. La mamma rimane incinta, ma si capisce che non sta bene, la gravidanza è a rischio per madre e figlio. Il bambino nasce prematuro, non può farcela senza una trasfusione, ma il sangue del padre non è buono. Fortunatamente (!) la sorellina più grande ha il gruppo compatibile, e possono trasfonderlo. Ed il film finisce qui. Dimenticavo la scena clou. Alle giostre, il padre gioca tutti i pochi soldi che hanno, inclusi quelli dell’affitto, per vincere una bambola per la figlia più piccola. Deve centrare con una pallina da tennis una specie di brocca. E ad ogni tiro che sbaglia si legge la delusione, e nello stesso tempo la fiducia, negli occhi delle figlie (e un pochino l’incazzatura in quelli della mamma!). La scena dura un buon 10 minuti.
Ah, gli attori non sono niente di che, e anzi il padre è decisamente ridicolo.
La cosa migliore del film sono le due bambine, che sono realmente sorelle, e la citazione di E.T.
Poi ho letto alcuni commenti: pare che il tema principale sia l’immigrazione. Bah.
In tutto questo sono contenta di averlo visto da sola, se lo noleggiavo con S. dovevo sorbirmi tutti gli episodi di Guerre Stellari prima di avere diritto a scegliere un altro film.
PS qualcuno sa dirmi il Mereghetti o il Morandini cosa ne pensano? (non che di solito mi trovi d’accordo, ma per sapere).
6 comments:
Mah, qui: http://www.imdb.com/title/tt0298845/
gli danno 8/10 e dicono che è "beautiful"...
e io lì avevo guardato
M'è andata bene!!!
S.
La Repubblica diceva così:
"A sorpresa tre nomination agli Oscar per un piccolo film
Jim Sheridan trova momenti toccanti e ironici
L'America con gli occhi
delle sorelle Christy e Ariel
Perseguitata da una tragedia - la morte di un bambino - una famiglia irlandese arriva a New York. Trova alloggio in un condominio da horror: fatiscente, popolato da tossici e transessuali, risuonante di grida misteriose. I genitori tengono duro, ma con difficoltà crescenti; le bambine Christy e Ariel, invece, vedono la casa come uno strano mondo fatato; finché, la sera di Halloween, trovano il coraggio di bussare alla porta di Mateo, che sembra un orco e invece...
Film che grondano sfiga, in questo periodo, ne stiamo vedendo parecchi. Quanto a Jim Sheridan ("Il mio piede sinistro", "Nel nome del padre"), ha l'attenuante di rielaborare un episodio autobiografico, avvenuto nei suoi anni verdi; anche se poi la sceneggiatura - sua e delle figlie - (candidata all'Oscar) rincara la dose con la figura di un vicino di casa malato incurabile, per l'interpretazione del quale Djimon Hounsou è nominato tra i non protagonisti (e, come protagonista, Samantha Morton).
Storia dell'elaborazione di un duplice lutto (una perdita familiare e il sogno americano, definito dal sottotitolo "il sogno che non c'era"), In America non è un film privo di meriti: trova momenti toccanti, altri ironici e ha il merito di sperimentare un doppio punto di vista, adulto e infantile, sulle stesse situazioni.
Peccato che queste ultime siano sempre più prevedibili con lo scorrere delle scene e che la filosofia positiva di cui Sheridan si fa portatore incorra in ingenuità indegna dell'intelligenza di Christy e Ariel."
Cercherò di ricordarmi di guardare sul Morandini.
Mi sa che me lo gueardo, comunque.
Dice il Morandini, dopo il riassuntino:
Scritto dal regista con le due figlie Naomi e Kirsten sulla base di esperienze autobiografiche, è un dramma dove è difficile separare il grano dal loglio, la forza dei sentimenti dalle scivolate nel sentimentalismo, il rifiuto della drammaturgia hollywoodiana dal ricorso ai suoi stereotipi, la fiducia nell'avvenire da un ottimismo mieloso. Al suo attivo, comunque, c'è l'alternarsi di un doppio punto di vista sulla situazione, adulto e infantile: il controcanto delle due bambine è la sua carta vincente sul piano della comunicazione emotiva. Esposto al Festival di Toronto nel 2002, messo in magazzino dalla Fox Searchlight, ripescato al Sundance, 3 candidature agli Oscar 2004: attrice protagoniosta, attore non protagonista, sceneggiatura.
Gli dà 3 stelline e 3 tondini (che non è male).
io son sempre qui che separo il grano dal loglio, evidentemente
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