31.3.16

L'Armenia nel cuore

Ultimamente mi sono fissata sull'Armenia. È un paese, un popolo, una storia che mi hanno sempre incuriosito, non so per quale motivo, forse perché qualcuno mi ha detto che era un popolo di musicisti - ed effettivamente ho avuto due insegnati di musica armene -, forse perché mi piace il regista Egoyan, forse perché sono cresciuta ascoltando Aznavour... o forse mi piace solo il suono della parola Armenia.

Fatto sta.

Ora sto leggendo un libro che si intitola Con l' Armenia nel cuore che è il resoconto di un viaggio in Armenia in bicicletta e di cui ho visto anche la bella presentazione del libro alla libreria di libri di viaggio Orsa Minore.

E stamani sono inciampata in questo breve articolo di una giovane fotografa - wow - di origine armena che tradurrò anche per tenermi in allenamento nell'attesa che le traduzioni mi fiocchino da ogni dove. L'originale in inglese è sul Guardian qui. L'articolo fa parte di una delle innumerevoli e notevoli sezioni del giornale inglese, in questo caso la serie di questi articoli nella sezione fotografia si chiama 'My best shot'.


Fotografia: Il mio scatto migliore
La migliore fotografia di Diana Markosian: un armeno di 105 anni che fuggì dal genocidio 
'Movses si mise a piangere, a cantare e si baciò le mani quando vide la foto del villaggio da cui scappò un secolo prima'




Questa è una fotografia di Movses Haneshyan che guarda una fotografia del suo villaggio per la prima volta dopo un secolo. Movses si mise a piangere e poi a cantare "La mia casa. La mia Armenia." Toccava la foto mentre cantava, e poi si baciò le mani come se la foto potesse riportarlo indietro.

Movses vide per l'ultima volta casa sua nel 1915 all'età di 5 anni. Quando i soldati entrarono nel villaggio, il padre lo prese per mano e scapparono. "Metà della strada era coperta da persone morte," mi raccontò. Questo fu l'inizio di quello che gli armeni chiamano il "grande crimine", il genocidio del popolo armeno nella loro terra, ora parte della moderna Turchia.

Durante la prima guerra mondiale, l'Impero ottomano avviò una politica di deportazione, omicidio di massa e stupro per eliminare la presenza armena all'interno dei propri confini, Quando la guerra finì, più di un milione di persone erano state uccise. Ad oggi, 29 nazioni hanno ufficialmente riconosciuto gli omicidi come genocidio, ma gli eredi degli Ottomani nel governo turco non l'hanno ancora del tutto riconosciuto.

Nel 2013 sono andata in Armenia per incontrare Movses e altri nove sopravvissuti per farmi raccontare quei giorni lontanissimi. Erano tutti molto anziani e fragili. Tre furono disposti ad aiutarmi: Movses, Yepraksia Barseghyan-Gevorgyan e Mariam Sahakyan. Insieme individuammo le esatte coordinate dei villaggi da cui erano fuggiti. Sono quindi partita alla loro ricerca. Movses, che ha 105 anni, mi aveva dato una cartina che ho cercato di seguire il più possibile e sono riuscita a trovare tutto quello che mi aveva descritto: il mare, l'albero dei frutti che si ricordava mangiare, le capre che custodiva e anche i sassi che una volta erano la sua chiesa. 

Yepraksia che oggi ha 108 anni fuggì dal suo villaggio attraversando un vicino fiume. Vide uccidere e poi gettare nel fiume i suoi compaesani. Era rosso, pieno di sangue, mi raccontò. Mariam, anni 102, fuggì in Siria con sua madre e il fratello più grande, che fu vestito da bambina per sicurezza. Si nascosero tra l'erba quando arrivarono i soldati. Camminarono durante la notte per tre giorni e si nascondevano il giorno. Ma una volta arrivata in Siria fu separata dalla sua famiglia.

Scattai una foto di ciò che rimaneva di ciascun villaggio e l'anno scorso le ho consegnate ai sopravvissuti. Le hanno afferrate come se soltanto tenendole vicine potessero essere trasportati di nuovo laggiù.

Sono armena, ma nata a Mosca e cresciuta negli Stati Uniti. Questa è parte della mia storia, che conoscevo ma che non ho mai totalmente accolto come mia. Il mio bisnonno sopravvisse al genocidio perché i suoi vicini, che erano turchi, lo nascosero. Quindi questa serie è personale, un modo per cercare di capire quella parte di me.

Avevo chiesto a ciascun sopravvissuto cosa potevo fare per loro. Movses mi chiese di cercargli la sua chiesa, che oggi è una rovina, e lasciare il suo ritratto lì. Yepraksia mi chiese di trovare il fratello perduto, anche se di lui aveva solo un disegno. "Gli piaceva mettermi sulle spalle e giocare con me all'orfanotrofio," mi raccontò. "Non ricordo molto di più tranne che aveva gli occhi celesti come i miei."

Mariam mi chiese di andare al suo villaggio e riportarle un po' di terra. Voleva esserci seppellita. Quando gliel'ho portata aprendo il pacchetto esclamò: "Mi hai riportato il profumo del mio villaggio."


Il sito di Diana Markosian.







2 comments:

Michele said...

bel post,e belle foto! grazie

sburk said...

Diana Markosian mi ha folgorato.