Il deserto del Silviahara
Gentile ministro Prestigiacomo, da quando il petrolio ha sfondato il muro dei 100 dollari, i pragmatici americani hanno ricominciato a trivellare con furia la loro terra. Brutto segno per chi ha sostenuto svariate guerre pur di poter andare a sforacchiare quella altrui. In California spuntano pozzi dappertutto. Persino a Beverly Hills, come nei romanzi di Chandler degli Anni Trenta. Si trivella sulle spiagge e accanto alle case dei divi. La compagnia petrolifera Pxp ha addirittura chiesto il permesso per trivellare un quartiere centrale di Los Angeles.
In questa battaglia disperata di retroguardia, non siamo certo noi italiani a poter fare la morale. Noi che trivelliamo il poco che si può, fra Molise e Basilicata, e cerchiamo di riconvertire alcuni impianti al carbone, come nei romanzi di Dickens dell’Ottocento. Eppure, prima o poi, a qualcuno dovrà pur venire il sospetto che il ventunesimo secolo sarà mosso da energie diverse da quelle dei secoli passati. Ce n’è una di cui abbondiamo in casa nostra. Anzi, in casa sua, signora ministro dell’Ambiente. La Sicilia centrale è infatti un deserto di proporzioni gigantesche e da anni Carlo Rubbia e altri scienziati sostengono che lo si potrebbe trasformare in un impianto solare di 50 km per lato, in grado di sfamare case e industrie di mezza Italia. Non credo costi più del Ponte sullo Stretto, ma le assicuro che servirebbe cento volte tanto. Lo suggerisca al Capo: ha più possibilità di passare alla Storia dando il suo nome a un deserto che a un cavalcavia.
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