Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. La gran cosa è muoversi, sentire più acutamente il prurito della nostra vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo appuntito di selci taglienti. (Robert Louis Stevenson)
27.6.11
Come mi va a giugno
Leggo Beirut Blues di Hanan al-Shaykh.
Mi mancano tre pagine in realtà. Asmahan, la protagonista, lascerà o non lascerà Beirut per la Francia? Tra poco lo saprò. L'autrice sicuramente invece il Libano lo lasciò, nel 1975 quando scoppiò la guerra civile e oggi vive a Londra. Dice la protagonista nel libro - è scritto in prima persona in forma di lettere che lei si immagina di scrivere agli amici, ai familiari, a Beirut, alla guerra - che se eri un libanese di sinistra non saresti mai espatriato negli Stati Uniti, e che i libanesi intellettuali espatriavano tutti nella zona del Golfo anche se avevano sempre criticato aspramente quei governi. La storia si svolge nel giro di pochi giorni tra Beirut e la casa del nonno sui monti, ma è pieno di flashback di ricordi, di racconti, di viaggi, di persone, e soprattutto all'inizio ho fatto un po' di confusione a capire dove mi trovavo. Ma se ti lasci andare è fatta. La guerra c'è, è quasi la protagonista; anzi no, l'anatgonista: il romanzo è pieno di posti di blocco, di siriani, di rapimenti, di martiri, di invasioni israeliane, di cecchini e collezioni di bussoli di pallottole, di una città divisa in est e ovest. Il titolo è azzeccatissimo.
Purtroppo Beirut Blues non è tradotto in italiano ma altri due suoi libri lo sono (La sposa ribelle e Mio signore, mio carnefice).
Ascolto i Baba Zula.
Cucino felafel.
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