Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. La gran cosa è muoversi, sentire più acutamente il prurito della nostra vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo appuntito di selci taglienti. (Robert Louis Stevenson)
20.11.07
Il Grande Inquisitore
Al teatro Fabbricone di Prato c'è stato lo spettacolo di Peter Brook The Great Inquisitor. Il titolo è in inglese perché lo spettacolo era in inglese.
Commento a caldo subito dopo gli applausi: Già finito?
In effetti è durato solo 50 minuti, e ho letto che in altre occasioni questo monologo è stato recitato insieme ad altre due regie di Brook: Tierno Bokar e La morte di Krishna. Tutte e tre le opere hanno come tema centrale la religione.
Il Grande Inquisitore, per chi non lo sapesse e io non lo sapevo fino a domenica, è tratto da I Fratelli Karamazov di Dostoveskj. Un fratello racconta all'altro la leggenda di quando Gesù tornò per la seconda volta sulla terra, ma solo per fare una visitina, proprio durante l'Inquisizione a Siviglia. Gesù passa tra la folla che partecipa ai roghi degli eretici, viene riconosciuto e fa anche qualche miracolo; arriva il grande inquisitore, anche lui lo riconosce e lo fa arrestare. Durante la notte lo va a visitare nella sua cella e ci fa quattro chiacchiere, perché ha un paio di cosette da dirgli prima di mandare anche lui al rogo. Il testo completo si trova facilmente su internet, per esempio qui, e vale davvero la pena di leggerlo.
Lo spettacolo è stato bello, anche se forse non proprio bello bello bello. Come ormai da molti anni negli spettacoli di Brook, la scena era molto essenziale: c'era solo una pedana con due sgabelli e i due attori erano vestiti completamente di nero, l'inquisitore con un cappottone lungo fino ai piedi (ricordava un po' uno di Matrix) e Gesù scalzo con pantaloni e camicia lunga. Faccio fatica a criticare anche minimamente uno spettacolo di Brook, però non mi ha lasciata del tutto convinta. Mi piacque di più Ta main dans la mienne, tratto dalle lettere scritte di Chechov e sua moglie: fu più emozionante, era difficile non sentirsi partecipe. Il testo, l'argomento, di Il Grande Inquisitore è intrigante e attuale (verrebbe da pensare molto di più delle lettere d'amore, sul teatro, e sui pettegolezzi di Mosca dell'altro spettacolo) ma stranamente tutto qui rimane distante.
Magari l'attore, Bruce Myers, quella domenica non era in forma. E cinquanta minuti di monologo non sono una passeggiata.
Magari è stata un'impressione solo mia.
Ma parliamo anche dell'attore che faceva Gesù. Mentre Myers per 50 minuti va su e giù per la pedana, gesticola, sposta lo sgabello, interpella il pubblicco, sputicchia anche un po', senza chetarsi un momento, lui, Joachim Zuber, non muove un dito, fermo immobile e son sicura che il naso gli prudeva assai. Mica facile.
Magari era proprio lui che non era concentrato e di consequenza neanche Myers. Chissà.
Conclusione: Peter Brook rimane un grande, lui e la sua scena vuota.
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