24.9.13

Peter Greenaway su San Francesco



Si chiama The Tower/Lucca Hubris la video istallazione di Peter Greenaway sulla facciata della chiesa di San Francesco a Lucca.
La facciata della chiesa di San Francesco è proprio piatta, ci avevo fatto caso uscendo dalla mostra di Henri Cartier Bresson, che è lì vicina. Perfetta per proiettarci qualcosa. E con una grande piazza davanti, perfetta per accogliere molto pubblico.
Ma la chiesa di San Francesco è sconsacrata, mi sono chiesta. Greenaway ci proietta sopra uomini nudi che fanno finta di essere cavalli e coppie nell'atto del concepimento che volano sempre più in alto.

Peter Greenaway.
Peter Greenaway veste sempre con un gessato.
C'è stato un tempo che quando usciva un suo film si correva a vederlo. Poi almeno io ho smesso, senza un particolare motivo. L'ultimo film suo che ho visto è stato Prospero's books, su La Tempesta di Shakespeare con un mitico John Gielgud. Per alcuni Peter Greenaway è troppo carico, troppo pomposo, e in effetti lo è, ma a me piaceva e continua a piacere. Forse perché comunque accanto alle sue tinte tragiche e drammatiche mette sempre molta ironia; e mi piace anche per tutta la storia dell'arte che mette nelle sue opere.

E infatti pomposo, carico, ironico e pieno di storia dell'arte è The Tower/Lucca Hibris. E c'è proprio Peter Greenaway a presentarlo, anche la seconda serata di programmazione. E' lui che ci racconta - brevemente, perché noi pubblico la storia di Lucca la conosciamo - che secondo la mitologia - perché l'uomo dice Greenaway è più interessato alla mitologia che alla storia - a Lucca c'erano più di 100 torri, perché c'era poco spazio per costruire e allora si poteva andare solo in altezza, e ogni signore, ovviamente, faceva a chi ce l'aveva più alta. Sono 14 storie, di 14 torri, in 35 minuti - che verranno proiettate sicuramente due volte, magari anche tre se c'è ancora pubblico, dice Peter Greenaway. Sono storie di passione, lussuria, morte, potere, e spero che nessuno si offenda, dice Peter Greenaway.

Allora c'è il nano che si lascia congelare dal freddo in attesa della sua previsione astronomica; il signore che si vergogna di essersi innamorato di un soldato, di infimo rango e per di più pisano; un altro che dall'alto della sua torre può osservare la sua amante mentre fa il bagno; la dama che si fa murare nella torre perché innamorata del fratello; quello che aveva costruito la cucina a piano terra e la sala da pranzo all'ultimo piano e dovette abituarsi a mangiare la pasta fredda...

E poi c'è Lucca tutta intorno, che sarà quel che sarà, ma che è proprio bella, curata, e senza macchine.

Qui alcune foto dell'evento.


19.9.13

ff

Arrivo tardi a Modena.
Che è mia consuetudine anche se ultimamente sono molto migliorata, per non dire cambiata: mi capita spesso di arrivare in anticipo.
Arrivo tardi a Modena, ma non è che avessi un appuntamento con qualcuno; e trovo molto più traffico di quanto mi aspettassi. Oltre a una segnaletica inesistente a Modena città. E sensi unici ovunque. E poi c'erano anche le cavalette.

Ma Rodotà non se la prende. Rodotà è uomo mite. Non alza la voce, sorride ma sa essere anche serio e irremovibile.
Rodotà cominciava a parlare alle 11.30, io sono arrivata per le domande e una piazza ancora piena di gente e applausi a scena aperta ma che Rodotà ignora e prosegue col suo discorso. Uomo umile il Rodotà. E poi standing ovation e cori ro-do-tà ro-do-tà ro-do-tà.
Non esageriamo, mormora una coppia che si allontana dal palco.
E quindi è l'ora di pranzo e ff ha organizzato anche dei bei pranzetti per tutte le tasche ma io ho poco tempo e mi basta un panino. Per caso, quando il caso funziona è sempre la miglior cosa il caso, trovo il mercato coperto di Modena. Adoro i mercati coperti. Un pezzo di pizza addentata tra i banchi e poi il gelato al cioccolato che mi finisce anche sui pantaloni mentre passeggio verso la Fondazione Fotografia per la mostra di Walter Chappell.

Walter Chappell.
Walter Chappell!

Io non lo conoscevo. Poi in realtà alcune sue fotografie le avevo già viste, sono famose: come quella della mano sotto l'ascella, oppure della madre con bambino. E' americano. Morto nel 2000. Bello fricchettone, viveva con la sua famiglia in mezzo ai boschi sempre tutti nudi. Le foto in mostra erano di tre tipi: la natura, i nudi, i nudi con la natura. Le sue foto sono veramente potenti, non trovo altra parola per descriverle, e secondo me è perfetta come parola e non c'è bisogno di altri aggettivi. A me sono piaciuti soprattutto i nudi, che più che nudi, sono fotografie di corpi, sono un'esaltazione, una celebrazione del corpo umano (maschile e femminile) per come è, e cioè non necessariamente magro, non necessariamente giovane, non necessariamente depilato. Che dire: io ne sono rimasta sconvolta, è stato come un colpo di fulmine.
Qui un bel articolo del New York Times scritto in occasione della sua morte.

Alle 15.30 poi ricominciano le letture. Io le ascolto un po' in sottofondo. Mentre parla Michela Marzano io leggo un libricino di Marc Augé sulla bicicletta aspettando gi.effe sugli scalini del duomo. Mentre parla Marc Augé io e gi.effe ci beviamo una birretta e facciamo due chiacchiere.

E finalmente arriva il turno di Salvatore Natoli, vero motivo della mia venuta a Modena. La piazza è gremita come per Rodotà, e non c'è un posto a sedere neanche a pagarlo, hai voglia di girare tra le sedie mezzora prima dell'inizio. Mi accontento di un posto in piedi dove almeno mi posso appoggiare alla rete che delimita il cantiere sul lato del duomo. Alcune persone chiaramente habitué di queste iniziative - io sono una totale neofita - si portano dei piccoli sgabelli pieghevoli che piazzano dove vogliono, tipo quelli dei pescatori. Natoli arriva un pochino in ritardo, ormai è sera e non fa più caldo, il sole non picchia più sulla capa degli spettatori costretti a costruirsi cappelli di fortuna con i manifesti del festival. Natoli ci parla di amore e amicizia. Quest'anno il titolo del festival è infatti amare. Natoli è un grandissimo oratore, per parlare di amore e amicizia prima ci spiega separatamente i significati delle due parole rifacendosi a filosofi greci e latini, usando parole greche e latine. Natoli è di una comprensibilità impressionate. E soprattutto, ed è per questo che me ne sono innamorata quando l'ho visto per la prima volta, è di un entusiasmo trascinante. Certe volte penso che anche se non capisco quello che dice, sicuramente non fino in fondo, ma neanche fino a metà, il gesticolare di Natoli, il suo sorridere, le sue pause che sembrano voler lasciare il tempo a chi lo ascolta, di fare sì con la testa, di dire, Salvatore, Salvo, Toni, hai ragione, questo suo modo di proporsi insomma rende non necessario capire tutto fino in fondo. Tanto poi il festival pubblica i libricini delle lezioni magistrali e io infatti mi sono presa quello del 2010 il cui tema era la fortuna. Sempre citando filosofi antichi e meno, ma soprattutto antichi, Natoli ci parla delle differenze tra amore e amicizia, così diverse e così necessarie l'una all'altra; anzi, per come l'ho capita io, l'amicizia è soprattutto necessaria all'amore che se no muore, che se no distrugge (amore nel senso di eros, passione). Natoli tutto questo l'ha detto in un'ora, ha detto molto di più naturalmente, dentro ci ha infilato il ruolo delle donne, la pubblicità, l'omossessualità, l'amicizia che si sceglie, e queste mie parole un po' si vergognano, non riescono a rendere Salvatore Natoli e la sua lezione magistrale, ma voi usate un po' di immaginazione, ecco.
Torno verso Pisa felice della bella giornata, la segnaletica ancora inesistente, giro a casaccio nei dintorni di Modena fino a quando sbatto contro l'autostrada. In realtà avrei voluto prendere la Cisa, ma non si è fatta trovare.
Dimenticavo: ff è tutto gratis.






13.9.13

Monsieur Lazhar



Monsieur Bachir Lazhar è un maestro elementare che durante l'anno scolastico subentra in una classe che ha improvvisamente perso la maestra.
Monsieur Bachir Lazhar è alegerino e anche lui nella sua vita ha subito delle perdite.
Monsieur Lazhar si svolge in Canada, in una Montreal francofona. Comincia d'inverno, quando c'è la neve alta così, e fa freddissimo e tutti sono imbacuccati in cappelli sciarpe e guanti. Arriverà poi la primavera, l'estate e la fine dell'anno scolastico.
Monsieur Lazhar, il film, parla di perdita, di come si affronta la morte di una persona cara, una morte che di solito chi rimane sente ingiusta e inspiegabile.
Monsieur Lazhar, il film, parla anche di esilio, di differenza di culture.
Monsiuer Lazhar, il film, è il rapporto tra degli undicenni e gli adulti che si occupano di loro.
Monsiuer Lazhar è Monsieur Bachir Lazhar, interpretato da un incredibile attore algerino che nei titoli di coda usa solo il cognome Fellag. Mi sono allora immaginata che fosse un clown; in realtà non lo è, però spesso in teatro fa il comico. Allora mi sono immaginata un altro Monsieur: Jacques Tati.
Monsieur Lazhar è una serie di bambini perfettamente all'altezza di Bashir Lazhar e anche di Fellag, in particolare di due bambini: quello con la macchina fotografica, e la quarta da sinistra in basso, Simon e Alice.
Monsieur Lazhar è delicato, dai colori tenui, e una colonna sonora col pianoforte, nonostante racconti di guerre, reali e interiori. E' lontano da qualsiasi stereotipo sui bambini, sugli inseganti, sulla morte. In una recensione (americana) ho trovato scritto che Monsieur Lazhar non prende mai vita, lo dice in senso negativo naturalmente.
Secondo me è proprio il suo bello.
Monsieur Lazhar lì per lì ti fa piangere. Poi ti rimane addosso, nei giorni a seguire. E ti fa sorridere.

Monsieur Lazhar è un film canadese del 2011 diretto da Philippe Falardeau.
Con Mohammed Said Fellag, Sophie Nelisse e Emilien Néron
E' tratto da una pièce teatrale di Evelyne De La Chenelière, per un solo attore.

(Ogni volta che scrivo una recensione penso che parlo praticamente solo dei film che mi sono piaciuti. Ecco, ho visto Salvo. Brutto. Quando mi incuriosisce un film di cui ho sentito parlare a Hollywood Party di solito poi rimango delusissima. Un altro che mi viene a mente è La migliore offerta)

10.9.13

Auguri in ritardo


"I think psychology and self-reflection is one of the major catastrophes of the twentieth century."

A quanto pare qualche giorno fa era il compleanno di Werner Herzog.
Pare che quella sia una sua affermazione.
Che rientra perfettamente nel personaggio.
Anche troppo, secondo me.
Quindi forse è falsa.

3.9.13

Henri Cartier-Bresson a Lucca

Vedere le foto in carne e ossa è tutta un'altra cosa.
Lo so che è un'affermazione banale, ma certe volte ce lo dimentichiamo. O almeno io me lo dimentico. Vedere una fotografia sullo schermo del computer e vederla appesa al muro di un museo è diverso come diverso è chattare e vedersi in carne e ossa.
Quando poi le foto sono di Henri Cartier-Bresson, ah beh...
Ed alcune sono famosissime, viste e riviste, sul computer appunto o persino su un catalogo. Ma appese al muro è diverso. Quando ti trovi a tu per tu con la foto vista e rivista, ad esempio quella con il ciclista in secondo piano e la scala con la ringhiera in primo piano, o quella del tizio che salta sopra la pozzanghera, è come reincontrare un vecchio amico che per tanto tempo hai solo visto via skype. E' diverso. Quelle foto le vorresti abbracciare, e pensi: finalmente eccoci qua.
Un bianco e nero dietro l'altro che riempie gli occhi. Certo, è scontato che fossero tutte in bianco e nero. Nessuna sopresa, quindi. Invece sorprende.
E sono tante appese lì al muro una accanto all'altra. Tante ma non troppe.
C'è chi ci trova il proprio cognome scritto sopra.
Chi un difetto.
Chi tutta la storia del novecento.
Io mi sono ritrovata a ripensare a foto con dentro le persone e foto senza le persone. E' un po' una mia fissa: meglio con o senza. Non che uno debba scegliere, ma Cartier-Bresson mi ha detto meglio con. Alla mostra di Lucca sono pochissime le fotografie senza la figura umana. In molte la figura umana non è protagonista, certe volte è piccola piccola in un angolo, oppure è sfuocata, altre volte è di spalle, o è tagliata. Ma c'è, e le belle geometrie, le scale a chiocciola, i muri cadenti risaltano di più.
Ora vorrei sentire cosa mi dice Basilico.

La mostra di Henri Cartier-Bresson a Lucca è davvero bella.

Io forse, avrei rubato questa.
Semplicemente per continuare a chiedermi per quanto tempo Henri Cartier-Bresson fosse stato seduto lì davanti prima di fotografare proprio quella scena lì. Quelle due donne lì. Che camminano a quella distanza lì. Ci sarà stato almeno un barrino lì davanti? Dove gustare un po' di retsina?