13.9.12

Ritento

Sarò più fortunata.

Roald Dahl's Day


E' oggi.
Festeggiamo.
Leggiamo un libro di Roald Dahl.
Magari con le illustrazioni di Quentin Blake.


11.9.12

Niente da nascondere (Caché)



E' di Michael Haneke.
E' del 2005.

Ho cominciato ad appassionarmi sul serio al cinema in prima liceo, cioè a 14 anni. In prima liceo non conoscevo praticamente nessuno e feci amicizia con emme.vu la cui madre era ed è una delle proprietarie di un cineclub. Ricordo ancora il televisore nel salotto di casa della mamma di emme.vu: era una TV bianco e nero, per scelta. Il colore distrae.
Io ed emme.vu passavamo i pomeriggi dopo scuola dentro quel cinema, a vederci dai 2 ai 4 film di fila, molti anche a colori. Tra un film e l'altro uscivamo a comprarci le caramelle in un negozio in cima alla strada che non esiste più da tanti anni. Crescendo, tra un film e l'altro siamo uscite a fumarci una sigaretta e a comprarci la birra.
Il regista che più collego a quel periodo è Wim Wenders. Non è l'unico regista che scoprii in quel periodo ma fu probabilmente quello che più rivoluzionò la mia idea di cinema. Con Wim Wenders capii che un filo logico non era fondamentale, che un finale poteva essere aperto e che non era necessario arrivare a spiegare tutto.

Da quando ho scoperto Wim Wenders ho capito che adoro i finali aperti. Exco li odia.

Dopo aver visto Caché (che in francese significa nascosto; solita riflessione sulla traduzione dei titoli) per un po' di tempo ho pensato che Exco non avesse tutti i torti.

Caché potrebbe essere definito un thriller.
La storia racconta di una famiglia parigina che comincia a ricevere misteriose videocassette che li riprendono nella vita di tutti i giorni. Con l'evolversi della vicenda e con la scoperta di eventi nel passato dei personaggi siamo portati a formulare varie soluzioni e spiegazioni sull'identità della persona (o persona) che gira e invia i filmati. Ma alla fine del film, con quella ancor più misteriosa inquadratura fissa sull'uscita di scuola, io almeno, non sono arrivata a nessun tipo di risposta.

Di più: alla fine del film non ero neanche sicura di cosa parlasse Caché.
Tutta la vicenda è solo una questione privata?
Oppure una specie di metafora della questione algerina?
E' la rappresentazione della famiglia borghese europea?
Ci vuole far riflettere su cosa è vero e su cosa è falso? 
Oppure invece ci vuol far riflettere sulla vita che raramente dà spiegazioni?
Vuole metterci di fronte alla nostra voglia di vouyerismo?
O ancora, ci chiede come viviamo con i nostri senzi colpa?
Era solo metacinema?

Fortunatamente, chiedendo a google ho scoperto che non ero l'unica a essere andata in crisi, e che fior fior di critici avevano scritto pagine e pagine per capire chi era l'assassino (nel senso chi è che manda le cassette); analisi corredate dei minuti dove nel film si dicono cose o appaiono cose che secondo il critico di turno puntava il dito colpevole verso quel personaggio o un altro.

Ah bene. Ho tirato un sospiro di sollievo. Il film è fatto a posta per non capirci niente. Evviva i finali aperti. Apertissimi.

Dice Michael Haneke: "I miei film sono una dichiarazione polemica contro un certo tipo di cinema americano che mette lo spettatore in condizione completamente passiva. Sono una richiesta di cinema fatto di domande insistenti invece che di false (perché troppo veloci) risposte, di distanza chiarificatrice invece che di vicinanza che viola, di provocazione e di dialogo invece che di consumo e di consenso."

(La citazione l'ho presa dal wikipedia inglese. La mia traduzione non è buona, sia perché ho omesso un parte che non ho capito sia perché ci sono delle parti di cui capivo le parole ma non mi tornava il senso e l'ho tradotta parola per parola, più o meno. La citazione originale si trova in un libro scritto in tedesco, forse da una traduzione all'altra si è perso qualcosa.)

Perché il problema, appunto non è l'assassino, è tutto il resto.
Ma quale resto?

10.9.12

Beh: Kim Ki Duk





Ki-Duk ha ringraziato Venezia cantando Arirang una canzone popolare coreana, quasi un secondo inno nazionale: «la cantiamo quando siamo tristi e soli, ma anche quando siamo felici».


La mia personale classifica dei film di Kim Ki Duk.
Ne ho visti 4.

1. Primavera, estate, inverno... e ancora primavera
2. Ferro 3
3. Time
4. La samaritana

Pietà non so se mai lo vedrò invece. Dalla trama mi pare parecchio violentino.

6.9.12

Registi

Kim Ki Duk a Venezia.




Werner Herzog a Cannes nel 1984. Ieri Herzog ha compiuto 70 anni.


(Foto da ilpost)

5.9.12

4.9.12

Il rap che mi scorre nelle vene



Dal libro "La bella lingua: My love affair with Italian, the world's most enchanting language" di Dianne Hales:

"A Firenze negli anni settanta del XV secolo Leonardo frequentava un gruppetto di scrittori di vernacolo conosciuti come poeti alla burchia (che significa approssimativamente veloce, composto a caso, in disordine). Questi artisti rap del loro tempo improvvisavano in versi in uno stile gergale e satirico chiamato burchiellesco, uno stile che stava agli entipodi dei sonetti elaborati petrarcheschi. Tra i molti trattati eclettici di Leonardo ricordiamo il memorabile Perché li cani odoran volentieri il culo l'uno a l'altro. Il motivo? L'odore permette ai cani di capire quanto l'altro sia ben nutrito: se sa di carne allora il propetario è sicuramente ricco e potente; e il cane richiede rispetto."

Anche questo post è stato gentilemente suggerito da subu nel cui sangue scorre il burchiellesco.

3.9.12

Persona


Persona è di Ingmar Bergman ed è del 1966.

Persona l'ho dovuto guardare due volte per essere almeno in grado di pensarci al film.
Persona la seconda volta l'ho visto in lingua originale con i sottotitoli, e come ho letto da qualche parte nella parte italiana hanno tagliato qualche scena e modificato qualche racconto.
Di Persona anche dopo averlo visto due volte di cui una in lingua originale con i sottotitoli non mi è facile parlare.
Persona è in bianco e nero; un bianco e nero molto bianco e nero, molto contrastato, molto luce e ombra, molto luce forte e ombra spesso buio.
La fotografia di Persona è del solito Sven Nykvist.
Persona è molto Sven Nykvist.
Persona è molto teatrale, pochi luoghi, molti interni, molta camera fissa.
Persona è praticamente fatto da due attrici di cui una non parla.
Persona è breve, meno di 90 minuti, quindi anche se non ci si capisce niente, si guarda bene.
Io non ho capito di cosa parli Persona.
Forse di cinema, forse è una riflessione di Bergman sul senso del cinema.
Sul vero e sul falso.
Sul recitare un ruolo.
Sul dire la verità.
Sulla verità delle parole.
O se è meglio non dire più nulla.
Persona sicuramente parla anche di maternità, ma per dire cosa non è chiaro.
Forse la maternità è solo un tassello di un discorso più ampio.
Sulla persona, forse.
Ma forse nel senso di personaggio.
Di Persona potresti disquisire un anno intero col tuo terapeuta di fiducia.
Forse Persona lo devo rivedere.
Idee poche e confuse.

Certo 'sti nordici... proprio criptici.