27.3.09

I Gatti Mézzi al Teatro Verdi


Una recensione in ritardo (era il 13 febbraio) di un concerto che non ho mai visto.
Una recensione di un concerto a cui non ho assistito fatta ascoltando l'ultimo cd dei Gatti Mézzi, Struscioni, guardando i video del concerto su youtube, parlando con quelli che ho incontrato che c'erano, e inventandomela di sana pianta.
Teatro tutto esaurito. Di biglietti non se ne trovano più e chi non ce l'ha, gli tocca star fuori. Megaschermi su via Palestro non sono stati contemplati. Dentro sulle scomode poltroncine della platea del Teatro Verdi c'è grande attesa. Nei palchetti si sta meglio, si può allungare le gambe e anche alzarsi e sgranchirsi un po'.
I Gatti Mézzi non sono putuali, e alle nove le luci in sala sono tutte accese, il pesante sipario color senape rimane chiuso. Ma nessuno ci fa caso, tranne quelli che uscirebbero volentieri fuori a fumarsi una sigaretta.
Ma alle nove e trentatre circa comincia del movimento sulla zona del palco. E' l'amico Atos Davini che sale gli scalini sulla sinistra e pare voler dire qualcosa, però è senza microfono. Sono in pochi a notarlo. Sono pochi a notare anche un altro, vestito di nero, che lo riaccompagna in platea.
Non era ancora l'ora, evidentemente.
Ma alle nove e quarantuno minuto più minuto meno le luci lampeggiano e poi si abbassano. E' buio. Poi il sipario si apre sugli strumenti: pianoforte a coda a sinistra, batteria al centro a destra un contrabbasso e una chitarra. La luce è gialla. Dal soffitto scendono sagome rettangolari che ondeggiano e riflettono le luci. Eh sì, siamo al Verdi, mica alla festa dell'unità di Ospedaletto. Pochi secondi e rientra il Davini con un pile fantasia azzurrino sopra la cravatta. Racconta tre barzellette e subito li presenta: I gatti mézziiiiiiii... E loro entrano, vestiti tutto punto come i protagonisti di Il Padrino numero uno: completi scuri camicie bianche senza cravatta, bretelle e cappelli.
Lo spettacolo ha inizio.
Che segue pari pari l'ordine del cd (deve essere la nuova moda), ma noi spettatori non lo sappiamo perché il cd non è ancora uscito. Esce il giorno dopo, contemporaneamente in tutto il mondo.
Allora ecco 'Portami al mare', l'attacco sembra lento ma dopo poco il ritmo aumenta. E' Tommaso Novi al pianoforte che la canta e l'occhio di bue è tutto per lui. Col secondo pezzo, Morandi, re de' trasandi, le luci invece sono su Francesco Bottai e la sua chitarra.
E via, via così, un pezzo a testa e qualcosa insieme, fra l'arioporto e la stazione, Sor tentenna che si sciagatta a nutella, shu war du waa wai wai, tra avanzi di balera e voli di calambroni, l'Ameria che è avanti, iu wai wai iu wai stasera sott'Arno con me, che passa le cee, per finire sur purma' al cacciucco blues.
E' fatta.
Tutto intervallato da storielline, scherzi col pubblico, e cappelli che volano, giacche e camicie che si tolgono. I Gatti Mézzi alla fine rimangono così in canottiere e bretelle abbassate.
Mi guardo intorno: il pubblico è felice, applaude entusiasta, chiede il bis ed eccolo accontentato: tragedia dell'estate e come farne senza Ir Gallaccio di Riglione.
E qui finisce davvero tra applausi ancora e ringraziamenti tanti. Bravi ancora una volta questi Gatti Mézzi e belli questi nuovi pezzi, ma, una ma ci deve pur essere, la sensazione, mia, tutta personale, è che questo grande e grosso teatro verdi se li sia presi, i Gatti Mezzi, e tenuti un po' troppo per sé. Il pubblico dei Gatti Mezzi è stato abituato a sentirseli più vicini. Ma è un'impressione mia, che forse dipendeva dal posto in cui ero seduta.
Con i Gatti Mezzi sono anche Matteo Anelli e Matteo Consani.
I Gatti Mezzi domani suonano a Rebeldia. Magari questa volta riesco ad andarci davvero.

26.3.09

Marzo è per gli hitchcockiani


Prosegue al cinema effecci la rassegna su Hitchcock. Martedì è toccato a Vertigo, o La donna che visse due volte. La rassegna è ben organizzata, figuratevi che per ogni spettatore c'era un addetto che al momento giusto in un orecchio ti raccontava qualche curiosità. Per esempio, per riprendere l'immagine della tromba delle scale dall'alto e dargli l'effetto vertigine, Hitchcock l'ha fatta costruire in orizzontale, perché appendere una telecamera dall'alto sarebbe costato troppo di più. Oppure, prima dei momenti di suspence Hitchcock aggiungeva del verde.

Incipit

Ieri al Senato è passato il ddl sul testamento biologico Due articoli stamani alla lettura dei giornali su Radio Popolare mi hanno colpito per l'incipit.
Uno di Adriano Sofri su La Repubblica che comincia così: Duemila anni fa, a Roma, un capo che vedeva in grande si rammaricò che il genere umano non avesse una testa sola, per poterla mozzare di netto con un colpo solo.
L'altro di Michele Ainis su La Stampa che comincia così: Ieri il Senato ha messo in minoranza Aldo Moro.

E' arrivata la stampa

Io l'ho notato solo oggi, la notizia del discorso di Debora Serracchiani alla Direzione Nazionale del PD di cui si parla da giorni su vari blog, è arrivato sul corriere on line. Noto però che la chiamano Debora S (cognome troppo lungo? fa fatica scriverlo?) che sembra il cartellino appiccicato sulla camicia di un concorrente della ruota della fortuna. Allora anche Dario F. L'articolo tutto è... decidete voi.
Se ancora il video non l'avete visto, guardatelo allora da un blog, per esempio questo. Su questo invece trovate anche l'articolo di El Pais.

C'era una volta il blog


Lorenzo Cairoli dal suo blog ci racconta, insieme ad altre storie africane, di Tubman Boulevard: il suo blog si affaccia su una strada e i suoi post li scrive su delle lavagne. In Liberia. La notizia viene anche ripresa da La Stampa online.

25.3.09

Magritte. Il mistero della natura



Ancora per poco, fino al 29 marzo, a Palazzo Reale a Milano c'è la mostra "Magritte. Il mistero della natura". La redazione al completo di A/R c'è stata per voi.
Le opere in mostra sono molte, e alcune molto famose, come L'impero delle luci (la casa di notte col cielo di giorno), La magia nera (la donna nuda con metà corpo fatto di cielo), Il donatore felice (uno dei tanti quadri con la silhouette dell'uomo con la bombetta), Il ritorno (un altro quadro con un'immagine ricorrente, quella dell'uccello con le nuvole), La tomba dei lottatori (la rosa gigante nella stanza, o a secondo dei punti di vista, la rosa normale nella micro stanza), i suoi cieli, che belli i suoi cieli con tutte le nuvolette (ah quelle dei Simpson, ha detto il mio coinquilino). Ma nonostante la loro grande visibilità, per me rimangono affascinanti, soprattutto L'impero delle luci.
Uno dei pochi quadri che conoscevo perché c'era il poster in una casa che frequentavo molto, molto tempo addietro, quella del treno che esce dal camino, e che in quella casa era appoggiato, il poster, proprio davanti al camino che raramente accendevano e che assomigliava tantissimo al camino di Magritte, non c'era. L'opera si chiama Il tempo trafisso (o pietrificato).
A proposito dei titoli dei quadri, Magritte stesso dice: I titoli dei quadri non sono spiegazioni e i quadri non sono illustrazioni dei titoli.
C'era invece il piccolo quadro, ma era soprattutto un disegno, della Torre di Pisa sorretta da un cucchiaio.
Tra le tanto opere che non conoscevo forse quella che mi è piaciuta di più è I compagni della paura (sono delle civette e gufi che prendono forma da alcune foglie). Anche i suoi alberi foglia, mi sono piaciuti parecchio.
Insomma, René Magritte mi è molto piaciuto, e mi sono fatta l'idea che lui doveva essere simpatico, come mi stanno simpatici in genere i vari appartenti alle varie correnti surrealiste o dell'assurdo. Secondo me si divertivano un mucchio. Stavano sempre a fare scherzi, happenings, si inventavano giochi, giochi di parole. Quando però diventano troppo assurdi o surreali, allora non riesco più ad apprezzarli, credo perché non trovo niente di familiare a cui agganciarmi (per esempio mi fa quest'effetto qui Ubu Roi di Jarry), o questa comunque è la spiegazione che mi sono data. I quadri di Magritte invece mostrano figure familiari che diventano non realistiche cambiando alcuni dettagli certe volte anche minimi, come la luce, e altre volte palesemente percepibili, come gli uccelli che prendono forma dalle foglie. Un elemento che ricorre spessissimo nei suoi quadri e che non sono riuscita a capire è la sfera: una normale sfera di solito bianca, che sembra un pianeta, certe volte con una striscia o spaccatura che corre lungo il centro orizzontalmente, come una specie di equatore. Sembra qualcosa uscito fuori da odissea 2001 nello spazio. Ma non danno troppa noia, stanno lì, di solito in un angolino.

Sul blog Andreagulp ho scoperto che le palle in realtà sono sonagli che dovrebbero risvegliare l'osservatore dal torpore onirico dell'arte. Lui li cita per parlare di youtube.

24.3.09

Seun Kuti e gli Egypt 80


Seun Kuti è l'ultimo figlio di Fela Kuti. Fela Kuti, morto nel 1997, era soprattutto un musicista e compositore nigeriano, inventore dell'Afrobeat e considerato uno dei più geniali musicisti della musica contemporanea. Oltre alla sua musica, Fela Kuti si interessava della Nigeria e dell'Africa: le sue canzoni sono per lo più canzoni di protesta ed è stato imprigionato e torturato varie volte. Aveva numerose mogli, ne sposò 27 tutte insieme a un cero punto, e le divorziò tutte insieme una decina di anni dopo. Non basterebbe un libro per raccontare Fela Kuti, e infatti in giro credo ci siano varie biografie.
Seun Kuti, che ha 26 anni, oggi è alla guida dell'orchestra di Fela, gli Egypt 80, ed infatti ad aprire il concerto non è lui, ma uno dei suoi musicisti, tanto che Esse mi ha guardata e senza che dicesse una parola ho capito che intendeva: nel video era un po' diverso. Ma poi arriva: è altissimo e bellissimo anche indossando ridicoli pantaloni e camicia attilati fantasia leopardata.
Il concerto è al Teatro Dal Verme a Milano, un teatro abbastanza grande classico con le file di poltroncine. La musica, anche per chi non conoscesse un granché la musica africana, è facilmente immaginabile: è ritmata, è ipnotica, è coinvolgente. Ma siamo in un teatro e stiamo tutti seduti, muoviamo la testa, battiamo il ritmo col piede, solo un tizio dai primi ritmi rimane testardamente in piedi e balla, dalla parte opposta a dove siamo sedute io e Esse. Ma pezzo dopo pezzo, diventa irresistibile non ballare e sempre più gente si alza cercando spazi dove ballare negli stretti corridoi tra le file di poltroncine. Quando un signore con la barba bianca e una signora non proprio giovane si mettono a ballare davanti a noi, io e Esse non abbiamo più scuse e si va, nel centro dove ci sono più ballerini e più spazio.
Prima vengono i vigili del fuoco a chiedere di lasciar almeno libero un corridoio in caso d'emergenza, cioè non possiamo ballare uno accanto all'altro ma in fila.
Poi viene uno spettatore che ci appoggia una mano sulla spalla e ci chiede di spostarci perché lui da dov'è seduto non vede. Ci sono tanti posti liberi potrebbe spostarsi lui. Ci spostiamo noi. Altri dopo poco però prendono il nostro posto. Lui chiede anche a loro di spostarsi. E via così, fino a quando si stufa e chiede l'intervento delle maschere. La situazione però non si risolve e alla fine lo spettatore seduto se ne va. Se ne va. Davvero.
Alla fine del concerto il signore con la barba bianca si lamenta di questa Milano che non balla.
Effettivamente il Teatro Dal Verme forse non era il posto migliore dove fare un concerto di musica africana.
Un paio di curiosità: tra il pubblico, non numerosissimo ma il teatro era grosso, ho visto solo due persone di colore. L'orchestra Egypt 80 comprendeva anche due coriste che un po' ballavano, ma speravo ballassero molto di più.
Qui trovate più notizie su Seun Kuti.

Passata la sbornia Carofiglio

Sto leggendo Piccole indagine sotto il pelo dell'acqua, di Joe Dunthorne.
Sono oltre pagina 100, si fa leggere, è abbastanza divertente, ma niente di strepitoso. Non è il nuovo Giovane Holden come è scritto in copertina, ma questo lo sospettavo. Ogni volta che viene scritto un libro in prima persona con protagonista un adolescente lo dicono. Ma ce ne vuole!
Sto ascoltando Struscioni, dei Gatti Mézzi.

19.3.09

Il gutturnio



E' questo che si vede nella bella foto di Mic. No, non è inquinamento da sostanze tossiche in Arno. Il gutturnio è un vino doc dei colli piacentini. Di solito frizzantino, ma non sempre. Segnalo inoltre che ad aprile a Carpaneto Piacentino c'è il Gutturnio Festival.

18.3.09

Suvvia

Ho dei ragionevoli dubbi per affermare che l'ultimo di Carofiglio dell'avvocato Guerrieri, Ragionevoli Dubbi, mi è piaciuto meno degli altri. Risultato: non sono corsa in libreria a comprare il graphic novel scritto insieme al fratello. Risultato 2: mi sento comunque orfana.

17.3.09

I miei occhi hanno visto cose



Questo fine settimana appena trascorso ho deciso che era arrivato il momento giusto per cominciare a prepararmi a Cannes, o a Venezia, o a Berlino, a un festival di cinema insomma; cioè vedere tanti film diversi tutti insieme. Ed essere in grado di distinguerli.
Andiamo quindi per ordine.
Il primo giorno ho visto Alice's Restaurant in un cinemino vicino al mare con divani comodi e posti anche per terra, gutturnio gratis per tutti, anzi obbligatorio, commento ad alta voce libero, schermo un po' piccolo ma pazienza. Come ha commentato ad alta voce una delle spettatrici, il film si apprezza se si fa mente locale agli anni sessanta. Un po' come Easy Rider, era tutto un altro film quando si vide in quegli anni! Una rapida occhiata a wikipedia e mi si sono chiarite un po' di cose: il film è tratto dalla canzone di Arlo Guthrie, e questo più o meno lo sapevo, che durava ben 18 minuti e che infatti occupava tutto un lato del disco. Era una canzone satirica e di protesta contro la guerra in Vietnam; racconta la stessa storia che si narra nel film, e che io non avevo capito fino in fondo, una storia successa veramente a Arlo: l'arresto del giorno del ringraziamento. I personaggi sono tutti veri, o quasi immagino, sia nella canzone che nel film, e alcuni appaiono in carne ed ossa nel film: Arlo infatti fa se stesso e anche il poliziotto che lo arresta insieme all'amico per aver scaricato illegalmente della spazzatura fa se stesso. Alice invece, che esiste davvero e c'ha il suo sito, è interpretata da Patricia Quinn. Un'ultima curiosità: la chiesa sconsacrata che Alice e il marito comprano all'inizio del film (e davvero nella vita) è stata ricomprata da Arlo Guthrie che ne ha fatto un centro spirituale.
Dopo questa visione tardo pomeridiana mi sono spostata insieme ad altre due fanatiche del sabato al cinema, in una sala vera e proprio anche questa piccola, dove abbiamo assistito nell'ordine a Katyn del regista polacco Wajda. Di Wajda avevo cominciato a sentirne parlare qualche anno fa, quando conversando con un tizio polacco avevo fatto quella che sapeva tutto di Kieslowski e quanto è geniale Kieslowski e ho visto tutti e dieci i comandamenti. Lui mi ha fatto: Wajda. Ed io non avevo la più pallida idea chi fosse. Quindi arriva un film di Wajda (ad ottanta anni, mi fa un film, così almeno io lo vado a vedere) ed io accorro, naturalmente. Katyn è uno di quei film che appena finito dici, sì va bene, ben fatto, ben recitato, belle inquadrature, storia importante però, boh allora. Poi dopo qualche giorno sei ancora lì che ci pensi anche se non sai ancora bene a cosa, ma ci pensi, e ci sono certe scene, certe inquadrature, che sono ancora lì davanti ai tuoi occhi. Perché sono proprio belle. Eh Wajda... direbbe quel tizio polacco.
Tempo cinque minuti e si passa a Milk, di Gus Van Sant. E non siamo più in Polonia, durante la seconda guerra mondiale, ma nella San Francisco degli anni 70. E sarà che del film ne ho sentito parlare da tutti bene, e che l'interpretazione di Sean Penn è meravigliosa, ah che grande attore (e a me Sean Penn di solito piace assai) ma sono rimasta un po' delusa. Sì il film non è male, si fa guardare, è ben recitato sì, da Sean Penn, ma anche dagli altri, e la storia di questo Harvey Milk non la conoscevo e la sua fine è parecchio assurda, però, boh allora. E poi dopo qualche giorno davanti ai miei occhi non c'è nessuna scena, nessuna inquadratura. Deve essere la maledizione degli Oscar 2009, perché tra i film premiati che ho visto nessuno mi ha entusiasmato, ed alcuni, vedi The Reader, proprio non mi sono piaciuti.
Ma la sera successiva mi rifaccio con un regista dal talento sicuro su cui non si possono avere dubbi: Hitchcock. In ordine, tra pochi intimi dopo aver girato la città per trovare un video noleggiatore che li aveva. Marnie, un classico della psichiatria, e Il Sipario Strappato, un classico dello spionaggio anche se minore. Come gli è venuto in mente a Hitchcock di mettere Mary Poppins in suo film, poi un giorno me lo deve spiegare.

16.3.09

L'abito non fa il monaco



Non giudicare un libro dalla copertina.
Ma anche sì.
Qui.

Lucca Animation


A Lucca da mercoledì 18 marzo c'è un Festival di film d'animazione. Io purtroppo sono in missione per con mio il prossimo fine settimana, ma magari qualcuno di voi ci va e poi me lo racconta; oppure mi scrive un post!
Cliccare sul titolo per andare alla pagina web del festival.

13.3.09

L'ultimo Carofiglio

Ragionevoli dubbi, il terzo e ultimo romanzo della saga dell'avvocato Guerrieri di Gianrico Carofiglio mi sta prendendo meno. Il nostro amore è già finito? Oddio, intanto sono quasi finiti i libri, mi manca L'arte del dubbio e il graphic novel che però ha scritto insieme al fratello Francesco. Il quale Francesco, ha scritto pure lui un romanzo, L'estate del cane nero (che mi fa venire in mente Cani Neri di Ian McEwan). Passerò al fratello.
Per fortuna non mi è presa la fissa su Amélie Nothomb: ne ha scritti un visibilio!

The wrestler


The Wrestler è un film complicato da commentare.
Non ho dubbi - qualcuno non li aveva neanche a priori - è bello; e probabilmente è bello proprio perché è complicato.
E' triste. Ma molto triste, e quando poi durante la settimana ci ripensi ti mette ancora tristezza.
E' sanguinolento. E siccome non parla di vampiri ma di una persona che potrebbe essere reale, fa molta più impressione.
E' essenziale. Non ti racconta, non ti mostra, niente di più e niente di meno di quello che c'è da raccontare, da mostrare.
Il finale è perfetto.
Ma soprattutto è Mickey Rourke.
Il film sarebbe stato completamente diverso se lo avesse interpretato un altro, anche il migliore degli attori. Perché ogni volta che ti appare il viso di Randy Ram Robinson, e il film è pieno di primi piani, non puoi non pensare al protagonista di Rusty il selvaggio e L'anno del dragone e a quel viso che c'era lì. Non puoi non pensare che quando Randy Ram Robinson negli anni '80 era un mito del wrestling, Mickey Rourke era la nuova rivelazione del cinema. Randy Ram Robinson era un grande wrestler e Mickey Rourke un grande attore.
E lo è tutt'ora.
Nonostante quel fisico, nonostante la faccia distrutta e rifatta (male direi), nonostante i lunghi capelli biondi ossigenati, mentre guardavo il film pensavo che comunque quel personaggio lì in calza maglia era molto meglio di quello che ho visto sulle passarelle di Venezia e Los Angeles.
Peccato, peccato davvero per il doppiaggio, perché molto del fascino e della bravura di Mickey Rourke erano anche nella voce, e il giorno dopo sono andata a vedermi un trailer in lingua originale. C'è una bella differenza.
Il film l'ho visto domenica scorsa, era l'otto marzo e non c'erano orde di ragazzotti fan del wrestling come è successo a lui (il cinema anzi era purtroppo abbastanza vuoto) ma nelle prime file c'era una coppia e lei aveva un grande mazzo di mimosa. Li ho notati alla fine del film, mentre rimanevo seduta testarda a guardarmi fino all'ultimo titolo nonostante tre tipe davanti a me che si erano alzate in piedi, non guardavano più i titoli, ma neanche si spostavano. La coppia con il grande mazzo giallo di mimosa e The wrestler erano due immagini completamente diverse, lontane tra loro, complicato metterle insieme. Eppure nella mia testa sono una accanto all'altro.
Vallo a capire.

C'è chi ha del tempo libero

Oh quanti film fa Clint Eastwood. Non ce la farò mai a rimettermi in pari, sono rimasta a Million dollar baby. Nel frattempo ha fatto quei due sulla guerra (Flags of our fathers, Letters from Iwo Jima) e The changeling. E ora vengo anche a sapere di Gran Torino, che con la squadra di calcio non c'entra niente. Né con la città. Non c'entra proprio niente con l'Italia: è una automobile tutta americana.

9.3.09

Ancora più BLU



E infatti mi sembrava, e Ico e tutti i suoi gattai mi danno conferma: Blu, un po' di tempo fa venne al Cantiere di Sanbernardo e fece due mostrini qua e là.

Le notizie importanti

Vogliamo parlare della ricaduta sulla saluta dell'ora legale. Ecco, cominciamo a parlarne ora, in anticipo, preveniamo, manca ancora circa un mese. Ma siccome in America l'ora legale è già cominciata, allora è importante, sì, parlarne ora, così siamo tutti pronti per le ricadute sulla salute dell'ora legale. La Repubblica online ne parla.

6.3.09

Solo show


Vinicio Capossela sta bene. Lo si intuisce guardandolo lì sul palco del Teatro Verdi di Firenze. Lo si intuisce bene forse anche perché eravamo in quarta fila, e io gli ho visto gli occhi che brillavano ogni volta che ci guardava per raccontarci qualche anedotto sulla canzone che stava per cantare.
Vinicio Capossela è in gran forma. Il concerto è durato quasi tre ore e lui ha cantato e saltato tutto il tempo. Certo la maggior parte del tempo sta seduto a qualche pianola, grande e piccina, ma l'energia si vedeva.
Vinicio Capossela sorride sempre, anche quando si mette la maschera di minotauro e si arrampica sulla gabbia.
Non sbaglia una nota, neanche quelle di Il gigante e il mago, prima canzone dell'ultimo CD, Da Solo, e con cui apre il concerto, e che a me non piace un granché, ma ieri sera sì. Nella prima parte del concerto fa precisi precisi, pari pari, in ordine, tutti i pezzi del CD, e sono veramente uguali al CD, ma sono totalmente diversi. Davvero.
Vinicio Capossela sul palco si diverte un mucchio, e te lo fa capire. Soprattutto se sei in quarta fila e un po' laterale.
Nella seconda parte del concerto canta canzoni vecchie, molte da Canzoni a manovella, qualcosa da Ovunque proteggi, ma anche Che cos'è l'amor e All'una e trentacinque circa. E non è banale, ma vorresti non finisse più, perché sono belle e lui le sa cantare proprio bene.
Con Vinicio Capossela impari sempre qualcosa. Per esempio che esiste uno strumento che si chiama theramin e che si suona muovendo le mani su e giù ma anche di lato, come se tu stessi scacciando una mosca. Ma non si tocca lo strumento, che è una specie di scatola rettangolare con un'antenna, le mani interagiscono solo con le onde. Credo. Ma sicuramente non è Vincenzo Vasi che ci prende in giro. Vincenzo Vasi, chiamato Lupo, suona una serie di strumenti strani oltre al theramin (vibrafono, marimba, glockenspielt, campionatori e piani giocattolo). Prometto prossimamente una lezione sul glockenspielt, contenti? Gli altri musicisti sono meno stravaganti: Mauro Ottolini (susafono, trombone, bombardino e giocattoli), Achille Succi (sassofono, clarinette e clarinetto basso , giocattoli), Alessandro Stefana (chitarra, banjo, elettronica, autoharp, slide guitar, violinarpa).
L'atmosfera è sempre un po' quella del circo e del burlesque e quindi non potevano mancare il gigante, il mago, la squinzia anoressica del mago che più tardi farà anche la medusa, e un bel giocoliere, ma di questi, Vinicio te lo devo dire, se ne poteva fare anche a meno.
Infine, altri grandi protagonisti del concerto sono i cappelli: da marajà, perché se no la canzone non viene per niente bene, tube varie, cappelli di paglia, da marinaio; e guardandoci in giro per il teatro capiamo subito che il vero fan di Capossela è quello col cappello giusto. Se ne vedono tanti. Noi non li abbiamo. Ci sprofondiamo timide nelle poltrone e ci godiamo il Solo Show lo stesso. Tanto tanto.

(foto by dani)

Le notizie importanti

Questa cosa che è su tutti i giornali di stamani che a Obama gli sono venuti i capelli bianchi dopo solo quaranta giorni che è presidente rende perfettamente l'idea di come sono messi i giornali. Magari prima se li tingeva no? In fondo doveva fare quello che eleggetemi perché sono giovane.

Érik Desmazières - L’ordine del sogno. L’ordre du songe


A Pisa, a Palazzo Lanfranchi e fino al 16 Aprile.
Érik Desmazières è un artista francese nato nel 1948 a Rabat in Marocco. Suo padre era un diplomatico e anche Érik ha studiato per quella carriera. Poi invece si avvicina alle incisioni e soprattutto alle acquaforti e prende tutta un'altra strada.
A Palazzo Lanfranchi sono esposte un settantina di opere suddivise in varie sezioni: il titolo è riportato su un tappetino con un suo disegno all'ingresso di ogni stanza. Ci sono i percorsi parigini, le biblioteche, gli atelier, le camere della meraviglia, le tentazioni si Sant'Antonio, città immaginarie ed altre ancora. Tutte acquaforti, alcune con acquatinta, alcune colorate ad acquarello.
A me le acquaforti, in generale, piacciono. Forse perché il professore di storia dell'arte che avevo al liceo faceva acquaforti, aveva il torchio a casa sua e ce le fece fare; forse perché la chiarezza, la precisione, la semplicità delle acquaforti mi danno un senso di calma, tranquillità, tutto e lì dove deve essere.
Nelle acquaforti di Desmazières mi ha colpito il realismo di alcune sue opere, come certe nature morte, certi giardini, certe stanze con le tende delle finestre che svolazzavano; e mi ha colpito la fantasia, certi palazzi storti, corridoi curvi, la biblioteca di Babele di Borges, certe prospettive inaspettate.
C'è anche un filmato su come lavora Desmazières, in francese.
C'è il Palazzo Lanfranchi, che è proprio bello ed è vuoto, nel senso che non c'è nessuno, e quel giorno pioveva anche, che lo so dispiace, ma guardarsi una mostra in due, con tutta calma, senza nessuno intorno, non è male.
(foto by exmaratoneta)

5.3.09

Blu

Murales, graffiti, writers. Roba vecchia ormai.
Dopo MUTO, l'arte sui muri non è più la stessa cosa.
Credetemi.
E Blu è stato anche a Livorno, qui:

L'Onda

La storia: Germania odierna. Un insegnante per far capire alla sua classe cosa significa autocrazia e quanto sia facile caderci, la mette in pratica nella sua classe. L'esperimento a un certo punto però gli prende la mano e lui perde il controllo della situazione.
Il risultato: un filmetto per ragazzi.
Peccato.
E' come le racconti le cose che fa la differenza.
E non è facile, saperle raccontare.

Gli anni in tasca


Caro François,
penso di poterti chiamare per nome, ti conosco da così tanto tempo. Anche se quando ti ho conosciuto era già troppo tardi. Ma anche se non c'eri più, i tuoi film ti hanno reso più che vivo. Per me sei immortale.
I tuoi film non mi stanco mai di guardarli; e per fortuna non li ho visti neanche tutti, che nonostante te ne sei andato a solo 52 anni ne hai fatti un bel po'.
E così l'altra sera sono tornata a guardarti, con un film che da alcuni viene considerato minore, perché dopo I 400 colpi, un altro film così bello sull'infanzia non lo potevi fare neanche te. Ma per me tu non hai fatto film minori, ce ne sono solo alcuni che sono dei capolavori.
Gli anni tasca non sarà il capolavoro, ma sei te, è Truffaut.
Alla prossima.
Tua,
Sburk

3.3.09

Come mi va a marzo

Intanto piove. Pioveeeee.

Ascolto Vinicio Capossela - Da solo
Leggo Gianrico Carofiglio - Testimone inconsapevole
Leggo Gianrico Carofiglio - Il passato è una terra straniera
Leggo Gianrico Carofiglio - Ad occhi chiusi
Leggi Gianrico Carofiglio - Ragionevoli dubbi
E se Gianrico Carofiglio non si sbriga a scrivere un altro libro e a mandarmelo in anteprima a me, perché se c'è da aspettare i tempi dell'editoria, ahi noi, potrei commettere qualche atto estremo.
Tipo anche procurarmi la quarta serie di 24 perché l'effetto dipendenza è più o meno lo stesso.