28.4.08

Tanto per dire

Insomma. Ho finito ieri di leggere Il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati ed è proprio bello.
Bello bello bello.
E' che sulla copertina c'era il disegno di un soldato e sapendo che tutto si svolgeva all'interno di una fortezza militare, ero un po' scettica.
Invece, sì.

24.4.08

Anna Karenina, Nekrosius

Un teatro pieno. Già una sorpresa. Il Teatro di Rosignano Solvay, pieno. La turné di questo spettacolo è così: Bologna, Roma, Padova, Napoli, Torino, Rosignano Solvay, Parma, Firenze, New York (scherzo, su NY). Rosignano Solvay ombelico culturale del mondo.
Entriamo con qualche minuto di ritardo, tanto per non cambiare abitudini, e lo spettacolo è già cominciato. Zitte zitte ci sediamo e non disturbiamo, anche se poi scopriremo che in questo teatro non vige un granché la ferrea legge del silenzio guai a chi scarta una caramella t'uccido; alla fine degli intervalli, per esempio, con gli attori già in scena che recitano la gente si alza, girottola, che quasi quasi ti aspetti che vadano verso il palco per dire ad Anna di darsi un po' po' una calmatina ecco.
Ma non importa, si entra e ci si siede e
bum
sei subito lì dentro quella storia, là sopra quel palco.
Levin e Kitty che pattinano sul ghiaccio, e c'è tutta un'enorme pista da ghiaccio che si costruisce solo col verso sh-sh fatto da Levin e Kitty. E quando Anna e Vronsky si incontrano per la prima volta alla stazione dei treni, anche tu sei lì in mezzo, insieme a tutta la folla di gente che aspetta gli amici, i parenti, con tutti quei treni che vanno e vengono, anche tu sei venuto a prendere Anna o forse la madre di Vronski, se però ti sforzi un pochettino e guardi bene il palco, noti che di persone là sopra ce ne saranno massimo sette o otto e di treni neanche l'ombra, perché suvvia, quei grossi orologi bianchi che fanno rotolare su e giù per il palco, non assomigliano neanche lontanamente a dei treni. Poi all'improvviso ecco arrivare un uomo con una pala piena di neve insanguinata e anche se la fine dello spettacolo è molto lontana, devono passare altre quattro ore, stai già male al pensiero di come finirà. Ma il finale sarà nuovamente una sopresa. La morte di Anna non è violenta, come quel primo assaggio quella prima volta alla stazione. Sul palco c'è solo un treno, un uomo-treno che apre il suo enorme cappotto svelando i due fanali di testa del treno e li punta sul pubblico che purtroppo ha già capito tutto. Nell'abbraccio del cappotto aperto dell'uomo-treno si sistema Anna e subito dopo il cappotto si chiude.
Attori tutti bravi (italiani, eh!) tranne quello che faceva Vronsky, purtroppo, non deve essere riuscito a entrare nel modo di far teatro di Nekrosius. Scenografia, certe volte scarna certe volte ricca, soprattutto simbolica. Non sono riuscita a capire perché i bambini venivano rapprensentati da paia di occhiali. Dolly e Anna a un certo punto lanciano in aria degli occhiali che sono i figli di Dolly. Mah. C'era anche una colonna sonora, perfetta pure quella naturalmente.
Mi sa che per me questo è stato uno dei più bei spettacoli di teatro mai visti, ecco.

22.4.08

In miniera si sta decisamente peggio



Questo vuole essere anche un blog sociale, un blog per la comunità. Ricordiamocelo in questo momento difficile. Momento... il termine giusto forse è era. Per voi, quindi, ho voluto sperimentare il villaggio vacanze, non sia mai che vi venga in mente di andarci; anche se con i tempi che corrono forse presto saremo tutti costretti.

1. Il charter
L'avventura comincia all'aeroporto di Bologna. Check-in alle 5.30 del mattino, ho le idee parecchio confuse, potevano esserci 200 dinosauri sul volo per Marsa Alam, io l'avrei trovato più che normale. Ricordo solo un padre in fila di fronte a me che serio serio dice alla sua cara figlioletta un po' irrequieta: Se continui a far le bizze farai cadere l'aereo.

2. L'arrivo
Arrivo al molto caotico aeroporto di Marsa Alam (mai tanto caotico quanto lo sarà al ritorno). Prima pulman poi in fila sotto il sole di luglio per entrare. Ma ecco a un certo punto all'orizzonte spuntare tra le tante una cartellina gialla al di sopra di tutte le teste ed un giovane egiziano che urla inviagginviagginviagginviaggi!! E' il nostro tour operator. Ci facciamo vedere e lui con un gesto ci dice di seguirlo. Non perdendo di vista la cartellina gialla che viaggia sopra le teste degli altri turisti, tutti italiani, cominciamo a sgomitare e scalciare, pestare i piedi, pur di non perdere quel faro e miracolosamente lo raggiungiamo ad un piccolo tavolino dove ci appiccica il visto sul passaporto. Ed il più è fatto, ora timbro sul visto, controllo del visto, recuperiamo le valigie (che ci sono) e continuando a seguire la cartellina gialla fino a salire sul pulman. Non siamo molti. Una decina di persone. Dopo una ventina di minuti arrivano anche altri e quando siamo tutti, partiamo. Il possessore della cartellina gialla ci spiega subito che il viaggio per l'albergo è molto breve e quindi bisognerà subito compilare un modulo. Ma non vi preoccupate, lo compileremo insieme. Allora, ci spiega al microfono, nel primo riquadro dove c'è scritto NAME dovete mettere il vostro nome, per esempio Michele. Fatto? Fatto. Nel riquadro subito sotto dove c'è scritto LAST NAME dovete mettere il vostro cognome. Fatto? Fatto. Sotto ancora, dove c'è scritto PASSPORT NUMBER mettete il numero del vostro passaporto. Fatto? Fatto... Questi li consegnerete alla reception dell'albergo. Fatto? Fatto.

3. In albergo
Arriviamo al Holiday Resort. Vi ricordo che il nostro aereo arriva da Bologna; i nostri simpatici animatori se lo ricordano benissimo e così ci accolgono saltellanti e guardandoci dritto negli occhi, con: ce li avete portati i tortellini? Ce l'avete portata un po' di mortadella? Non ce l'avete portata?! E le piadine. Io e Fra ci guardiamo e non ci diciamo niente. Sbrighiamo le formalità alberghiere e dato che sono le 2 e c'abbiamo molta fame andiamo a mangiare.

4. Nella sala da pranzo
La sala da pranzo è veramente grande. Lungo tutta una parete c'è tutto il cibo. Da una parte tutte le verdure fresche (buone) poi vari vassoi caldi con a seconda dei giorni, purè, verdure grigliate, pesce fritto, spezzatino, cavolfiore con besciamella (il cavolo anche qui, basta), patate lesse, polpettine di riso, pesce al forno (tutto abbastanza mediocre); infine l'angolo dei dolci dai colori assortiti, rosa, verde, celeste, cioccolato, tiramisù (Fra si ostina a provare questi dolci colorati rimanendo però sempre delusa) e la frutta fresca (buona). Insomma una specie di mensa della stazione. I tavoli fuori sono meglio, su una larga terrazza, in fondo alla quale c'è anche la griglia e l'irrinunciabile angolo pastasciutta. L'ora del pasto è un momento fondamentale nelle giornate del viaggio vacanze. Guai a perderselo. Anche le escursioni nelle varie spiaggette finiscono sempre in tempo per il rito della mangiata in albergo. Prima c'è la corsa al tavolo libero, soprattutto sulla terrazza, poi si va a riempire i piatti, infine si cerca di attirare l'attenzione di un cameriere che ci porti le posate (proibito andarsele a prendere, il cameriere si arrabbia moltissimo). Insomma, notiamo subito che il cibo supera di poco la qualità mensa ed io tutte le sere mi chiedo come mai visto che siamo in un paese arabo non ci siano piatti arabi. Un bel cous cous, per esempio. C'era solo un Egyptian Corner, così fatto: piccolo bancone con pentolona di riso alla cannella e scodella con quello che poteva essere salsa di pomodoro. Boh. La penultima sera però, finalmente capisco perché non ci sono pietanze arabe. Perchè una volta alla settimana c'è la serata egiziana. Evviva. Che vuol dire: musica araba a paletta (meglio della solita, vedi sotto), camerieri vestiti in tunica, e quelli dell'animazione col vestito da carnevale modello arabo. Ma niente cous cous neanche quella sera lì, mi accontento di lenticchie e hummus.
Durante i pasti mi rendo anche conto della fortuna di non festeggiare il compleanno proprio quella settimana lì. Perché se invece è il tuo compleanno, dalle cucine improvvisamente parte una processione di tamburi e camerieri e animatori danzanti che attirando l'attenzione di tutti attraversano zigzagando sala e terrazza e arrivano fino al tavolo dell'ignaro festeggiato e lo costringono a ballare con loro. Orrore. Le prime volte mettevo seriamente in dubbio la mia data di nascita col terrore che arrivassero da me. Ed ho pure sospettato che la Fra potesse farmi uno scherzo. Sono stati momenti difficili.

5. Gli animatori
Preferisco sorvolare. Sarebbe come sparare sulla croce rossa.
E forse me ne devo rallegrare, perché non sono stati per niente invadenti; qualche volta però ho sofferto per loro.

6. La musica
C'è sempre. Forte. All'ora dell'aperitivo, poi, c'è sempre lo stesso cd con cinque pezzi cinque che girano all'infinito, Celine Dion, Lionel Ritchie e altri simili di cui non conosco il nome. La sera, in prima serata c'è l'animazione per i bambini, invece, anche lì cinque pezzi cinque, tutte le sere, suonati in continuazione, tra cui l'evergreen il coccodrillo come fa.

7. L'escursione organizzata
Potevo anche evitare di usare il termine organizzata, dato che è sinonimo di villaggio vacanze. Noi non abbiamo partecipato a nessuna, o meglio facevamo solo quelle subacquee (perché è per questo che ci siamo andate, nel caso qualcuno se lo chiedesse, ecco), ma in una delle nostre uscite abbiamo incrociato l'Escursione. Era alla biaia del dugongo, uno strano pesce un po' delfino abbastanza raro e forse anche un po' scemo visto che si ostina a rimanere in quella baia.
Bene. Chiudete gli occhi. Immaginatevi una bella spiaggia, sabbia fine, barriera corallina da una parte, acqua color smeraldo, cielo limpido, caldo il giusto che ti invoglia alla nuotata. Fatto? Ma improvvisamente ecco arrivarvi all'orecchio una musica tecno (sono le nove di mattina porca miseria!) e una voce che al microfono urla forza ragazzi, maschi da una parte e femmine dall'altra paolo sei dalla parte sbagliata non credi non facciamo confusione siamo pronti bene ed ora ruba bandiera samantha un po' più di sprint... E' l'animazione del vicino villaggio (e in questo preciso momento che capiamo che a noi c'è andata bene, con la nostra animazione). E poi arriva un'altra voce: tutti insieme, Pina ci sei, Marinella non piangere, guardate presto sulla vostra destra, la vedete la tartaruga, oh la tartaruga, andiamo, ci siamo quasi, stiamo vicini, non succede niente, quella invece è una razza, oh la razza... Ti tocca aprire gli occhi, mi dispiace, e davanti ti trovi una masnada di gente che io non mi brucio mai che popola gli ombrelloni e le sdraie e altrettanti in acqua col giubbotto di salvataggio rosa fosforescente alla ricerca del dugongo. All'una la spiaggia è deserta, tutti tornati ai rispettivi villaggi per il rito del pasto.

8. Vita nel villaggio
Sveglia la mattina, colazione, partenza per luogo di immersione, 2 immersioni belle bellissime, ritorno in tempo per... indovina indovinello, poi sonnellino sullo sdraio, una passeggiata lungo il mare, alle 17.30 comincia a fare buio, trasferimento al bar della piscina per osservazione della fauna locale oppure in camera, cena, passeggiata dopo cena intorno alla piscina e sulle varie isole della piscina e se in vena d'avventura fino in fondo al moletto, camera, libro, sonno. Questo noi, cosa facessero gli altri non lo voglio proprio sapere.
La fauna locale è per la maggior parte composta da famiglie con bambini piccoli. Seguono coppie. Infine sparutissimi gruppetti di amici, che come noi si chiedono ma cosa ci facciamo qui. La maggioranza è italiana e del nord, pochissimi toscani, forse un romano. Poi ci sono i russi. Anche loro tanti. Si distinguono, i maschi in particolare, per la rotondità della loro pancia e a chiasso fanno a gara con gli italiani. I russi, come anche i francesi (che sono pochi e non danno noia a nessuno), hanno anche il privilegio di portare al polso il braccialetto arancione. Eh eh. Il braccialetto arancione permette al suo possessore di avere gratis anche tutti gli alcolici, che per noi comuni mortali del villaggio vacanze invece sono a pagamento. Chiudete gli occhi. Immaginatevi l'accostamento russi e vodka. Fatto? Fatto. Dopo qualche giorno la direzione ha deciso di togliere gli sgabelli al bar vicino alla piscina. I russi ci stazionavano tutto il giorno infastidendo i baristi.
Mi rendo perfettamente conto di non essere in grado di fornire una descrizione più accurata del mammifero da villaggio vacanze. Purtroppo non sono riuscita ad avvicinarlo. Per fortuna, lui non mi ha avvicinato.

9. La partenza
L'orario di partenza del nostro aereo viene anticipato di un'ora ma a noi nessuno ce lo dice e quindi facciamo le interminabili file per ingresso nell'aeroporto, check in e controllo documenti con serafica nonchalance. Troviamo 2 posti liberi nella caotica sala d'attesa vicino ai cancelli e ci divertiamo ad osservare la tecnologia dell'aeroporto di Marsa Alam. Gli altoparlanti ci sono, e noi siamo sedute praticamente sotto. Ma non si sente niente. No problem. C'è un signore che gira per la sala urlando la destinazione del volo e il numero: Bergamo PV7484, c'è nessuno per Bergamo PV7484, imbarco per Bergamo, Bergamo... Milano.... Verona... Bologna non lo dice mai. Con questo caos, pensiamo noi, il volo sarà in ritardo. Ma infine, per quanto serafiche, lo scrupolo ci piglia e Fra va dall'altoparlante umano a informarsi del nostro volo. Quanti siete, le chiede. E Fra: 2. E lui: ah, siete i 2 che mancano. Allora corsa al cancello dove non ci controllano nulla, ci montano su un pulman tutto per noi, e saliamo a testa bassa bassissima sull'aereo che stava aspettando noi per partire. Devo dire che gli altri passeggeri incredibilmente non ci hanno tirato pomodori e uova marce. Devono aver intuito che in quel caos tutto era possibile.

10. Il mare
Bellissimo

11.4.08

Folgorata sulla strada per Vilnius



Ieri, rischiando nuovamente di arrivare in ritardo (ci sono riuscita ma ci hanno fatto entrare lo stesso, per fortuna) ho visto Anna Karenina di Eimuntas Nekrosius.
Bellissimo. Di più.
Prima o poi ci scriverò un post, ma intanto lo volevo dire.

10.4.08

Think different

Segnalo un articolo. E' in inglese ed è lungo. Lo potrei tradurre ma non ho proprio tempo e non so quanto sarei capace di rendere le battute. L'articolo è sulla Apple e Steve Jobs; di come siano riusciti ad avere il successo che hanno comportandosi in modo totalmente opposto da altre industrie della Silicon Valley. Mentre queste tendono ad aprirsi verso l'esterno, a trattare direttori e semplici impiegati allo stesso modo, alla Apple vige la segretezza più assoluta e Jobs fa il dittatore. Infatti il titolo dell'articolo è Come la Apple sia riuscita a fare tutto bene comportandosi male.

Suvvia. Per invogliarvi, traduco un pezzettino ino ino veloce veloce.

"Anche se sei un executive senior, quando arrivi con 10 minuti di ritardo dovrai girare e girare con la tua porsche per trovare un parcheggio libero (nb. alla Silicon valley, per far capire la parità di trattamento che c'è tra tutti i tipi di lavoratori).
Ma c'è una Mercedes che non deve girare troppo: è quella di Steve Jobs. Se non ci sono più parcheggi facili da trovare, Jobs non si fa problemi ed arriva all'entrata principale della Apple per parcheggiare la macchina nel posto riservato agli handicappati (certe volte occupa anche due posti). Ormai alla Apple questa sua abitudine è diventato un aneddoto e una barzelletta. I dipendenti lasciano dei bigliettini sotto i tergicristalli con scritto "Park different"; e hanno anche sostituito il simbolo minimalista della sedia a rotelle che individuava il parcheggio riservato, con quello della Mercedes."

Buona lettura del resto.

Dimenticavo, l'articolo me l'ha passato una vecchia conoscenza di A/R, la Vitt.

Roba da matti

Ma chi gliel'ha detto a Filippeschi (PD per chi non lo sapesse) e ai partiti che lo appoggiano che i pisani vogliono più videosorveglianza. Videosorveglianza, dico!?!?!
E' praticamente al primo punto di tutti i loro programmi.
Non è che si sono sbagliati col wifi gratis per tutti?
No, eh.

8.4.08

Quando il buongiorno si vede dal mattino

Io ho una dipendenza. Lo dico qui davanti a tutti.
Ciao mi chiamo sburk e ho una dipendenza (rispondere: ciao sburk, come nei migliori film e telefilm americani).
Sono TV dipendendente, ma ho vinto la mia dipendenza eliminando quell'oggetto da casa mia. Prima? Guardavo di tutto. Ma tutto tutto tutto, anche Maria De Filippi. Guardare le televendite è una cosa, ma guardare Maria De Filippi, vuol dire voler davvero farsi del male.
Sorvoliamo, che ancora mi vergogno.
Perché la TV ha tante cose belle ed io ancora l'amo.
Il genere di programmi che mi sono sempre piaciuti di più sono stati (e lo sono tuttora) i telefilm. Quelli americani, perché rispetto agli altri non c'è paragone. Ditemi un telefilm non americano bello.
Li guardavo praticamente tutti. Il Principe di Belair non mi piaceva, però, non sopportavo Will Smith e continuo a non sopportarlo. Però ho guardato assiduamente L'uomo da un milione di dollari. Sono cose che ti segnano, quel rumore che si sentiva quando aguzzava la vista e metteva a fuoco cose a chilometri e chilometri di distanza? Non te lo scordi più. Per il resto della tua vita.
Alcuni telefilm però mi sono rimasti nel cuore.
Il primo non può essere altro che Charlie's Angels. Negli anni mi sono dovuta abituare alle varie nuove attrici, ed alcune proprio mi stavano antipatiche, l'unica su cui si è sempre potuto contare è stata Kelly. Una personcina seria.
Poi ho cercato di far parte della famiglia Bradford, otto o nove non poteva fargli troppa differenza. Ho partecipato a matrimoni, cambi di casa, di macchine, litigi.
Anche il genere per maschi mi piaceva: McGyver, per esempio, un uomo un mito, grazie a lui non mi perdo d'animo quando mi si rompe la chiave nella serratura. Faccio una preghiera a McGyver e via.
E Starsky e Hutch? Sono riuscita a conquistarmi l'unica serata in cui potevo andare a letto tardi, dai miei irremovibili genitori, per guardalo.
Ho avuto anche un periodo Perry Mason, ma il genere poliziesco-tribunale mi prende meno. Ma non disdegno, ci mancherebbe.
Poi sono diventata grande, ma la fissa per i telefilm non mi è passata: ho spaziato tra Friends, Sex and the City, Ally McBeal, Malcolm, Una mamma per amica, Felicity, Streghe, ER, Buffy, e molto altro ancora.
Poi è arrivato Lost.
Lost è uno spartiacque.
Dopo Lost, niente è come prima.
Poi mi si è rotta la TV.
E mi sono disintossicata.
Ma non ho smesso di guardare telefilm. Ho smesso di guardare la De Filippi, però.
Ho imparato a scegliere.
Ho imparato cosa è meglio per me.
E ho capito che due telefilm svettano nella mia personale classifica dei telefilm (e poi son tanti i telefilm, non li posso mica guardare tutti, ho una vita da condurre io - battuta non mia purtroppo). Uno è finito; 5 stagioni fantastiche, anche se l'ultima forse mi è piaciuta un po' meno: l'ho trovata meno cattiva, più superficiale, sapevano evidentemente che era l'ultima. Ma comunque sempre sopra gli standard. L'altro telefilm l'ho scoperto da poco, e forse è solo un'infatuazione. Ma non credo, e son qui che aspetto la terza serie. Già dico però che la prima stagione m'è piaciuta di più della seconda, ma è normale, con la prima c'è la novità. Aspetto la terza.
E che son belli, questi due telefilm, lo si capisce da subito. Dalla sigla di testa.



La sofferenza della luce (davvero)

Domenica a teatro. Perché ormai avevo deciso di vederlo.

La scena è bianca, un enorme lenzuolo bianco copre alcuni oggetti sulla scena. La luce è bianca, ma non eccessiva. Sullo sfondo due lunghe amache di tessuto di due tonalità simili di amaranto. Dall'amaca più in basso (l'altra è proprio sopra) spuntano una parte di gamba con scarpa col tacco nera e un braccio, che si alternano, l'amaca poi dondola, appare anche una testa coi capelli corti, poi le due gambe insieme, e le braccia, poi lei tutta, Silvia Rubes, bella e brava, in una lunga sottoveste nera. Si muove sempre solo lei per tutto il tempo per tutta la scena. Scopre gli oggetti sotto il lenzuolo, un piccolo paesino di case e campanili tutto bianco. Lei ci cammina con attenzione con le sue scarpe col tacco, sistema un tetto, si siede delicatamente su una casetta. Sembra una ballerina anche se non danza. A intervalli torna alle amache, ci dondola, ci cammina, vola sopra il paesino. Le luci cambiano colore, diventano rosse, poi fucsia, poi gialle, poi niente, solo 4 piccole lucine che dondolanu sul suo paesino. Poi le luci tornano bianche. E così via per poco più di un'ora.

La sofferenza della luce, la regia è di Luisa Pasello, è molto molto bello da guardare.
Del testo invece non ho capito nulla, e l'attrice in scena (che ha scritto anche il testo) parla tutto il tempo.

La sofferenza della luce


Sabato a teatro. Peccato aver letto male l'orario di inizio dello spettacolo ed essere arrivati al Teatro di Pontedera venti minuti dopo l'inizio dello spettacolo. E questa volta pare che abbiano cominciato anche in orario, di solito aspettano anche mezz'ora per i ritardatari. Che delusione, quella porta chiusa.
Che si fa?
Cinema.
Vai!
Andiamo al Cineplex, dai. Io non li sopporto i cinema con tante sale, ma bisogna sempre conoscere il nemico. Controlliamo sul giornale in dotazione al Circolo Arci lì vicino che film ci sono, scegliamo Non pensarci e andiamo.
Il parcheggio del Cineplex è grande quanto quello della Fiat di Torino, ma le varie zone non sono numerate e per ritrovare la macchina dopo conviene portarsi dietro il gps. Il Cineplex è una costruzione trasparente o quasi (nel senso che essendoci dentro delle sale cinematografiche non può essere tutto trasparente) tutta illuminata. Nel Cineplex ci sono 9 sale. Nove! Insomma più o meno lo stesso numero di sale che ci sono a Pisa. Entriamo, nella luce accecante dei 1000 neon, ah la sofferenza della luce, eccitati come bambini al Luna Park. Ma prima di seguire i vari luccichii che ci chiamano a destra e a manca, facciamo i biglietti, non vorremmo perdere due spettacoli nella stessa sera, poi cosa raccontiamo agli amici. I negozi purtroppo sono chiusi, solo i bar sono aperti. Quello a pian terreno, grande grande, ingloba anche una caverna, con scheletro penzoloni e piccoli tavolini per romantiche coppiette. C'hanno pure le patatine fritte, ma ormai mi ero comprata i fonzies. La prossima volta. Procediamo ai piani alti, dove si trova la nostra sala, la 9. E alla fine del nostro percorso, sorpresa, l'eldorado, una parete di troiai (cioè, liquirizie, gommose di ogni forma e colore, tra cui quelle alla coca cola, mentine, noccioline, seme etc etc) self-service. Aha! Come non approfittare, ma siamo moderati e riempiamo in quattro solo il bicchiere più piccolo. Per essere onesta, i troiai erano più belli da guardare che buoni da gustare e solo le mentine mi hanno soddisfatta.
Il film? Bellino. Niente di eccezionale ma piacevole. Attori tutti bravi, compreso ovviamente Valerio Mastandrea (anche se fa sempre un po' la stessa parte dello sfigato simpatico, e insomma, e fai il cattivo antipatico una volta, che ti ci vedo anche guarda), ben girato, bella musica (Mastandrea fa il chitarrista di un gruppetto punk/rock che suona nei centri sociali), alcune scene discrete e belle battute, tra cui una tra le prime di scene (che è una cosa che mi sono sempre chiesta se ogni tanto sia successo): il cantante del gruppetto punk/rock che canta e si dimena da bravo cantante di gruppetto punk/rock fino a tuffarsi, come da copione, sul suo pubblico; che però non è tanto folto né troppo preso dall'esibizione, e si scansa. Il cantante punk/rock finisce spalmato per terra. Il film vale la pena anche per le magliette di Mastandrea, una è quella che si vede nella foto (è uno zorro) e che praticamente indossa sempre (la storia del film non si svolge nell'arco di una giornata e basta), un'altra si vede per molto meno ed è mi sembra dei looney tunes (ma forse mi sbaglio). Ho pensato che poteva cambiarsele più spesso, visto anche quanto erano belle.
Mmmm. Ho fatto un uso eccessivo di parentesi. Vabbè...

4.4.08

Opinioni

Ieri lessi l'articolo di Miriam Mafai su Repubblica che criticava il lancio di pomodori e uova (mi sembra) su Giuliano Ferrara durante un suo comizio da parte di un gruppo di donne che protestavano contro la sua campagna pro-life. Le criticava in nome del diritto di parola e di opinione per tutti, qualsiasi essa fosse citando la famosa frase di Voltaire "Disapprovo ciò che dici, ma difenderò alla morte il tuo diritto di dirlo". Togliendo a Ferrara il diritto di parola lo toglieremo a tutti. Così, a una prima lettura ho pensato che ero d'accordo, in fondo chi non lo sarebbe. Però non ero neanche del tutto convinta. Insomma, quando la mattina ho sentito la notizia ho pensato "ben gli sta".

E allora stamani ho letto il trafiletto in prima pagina de Il Manifesto di Marco Bascetta che dice:

L'ortaggio a Giuliano Ferrara

Il lancio di verdure dal loggione non segnò la fine del teatro. Il lancio di verdure su un palco elettorale non segnerà la fine della democrazia. Si tranquilizzi Miriam Mafai. L'insegnamento che lei e il suo giornale quotidianamente ci impartiscono si ispira alla più classica predica che ogni arcigna istitutrice impartisce ai suoi educandi: "Se da bambino rubi la marmellata, da grande sarai un delinquente". Ma le ragazze e i ragazzi che a Bologna hanno contestato Giuliano Ferrara non sono bambini e più che rubare rischiano di essere derubati, di diritti e di libertà. Scomodare poi il povero Voltaire, in un paese che farnetica di "tolleranza zero", è quanto di più sfacciato si possa immaginare. E, del resto, ai tempi di Voltaire non c'erano i monopoli radiotelevisivi né i grandi gruppi editoriali. Che esista una simmetria, una "pari opportunità" tra le diverse voci, tra i diversi soggetti dell'agire politico e sociale, è una vergognosa finzione. Risponda la democratica editorialista con un po' di onestà: se si fosse organizzata in un centro sociale un'assemblea contro Ferrara, anche tre volte più folta dello sparuto gruppetto che lo applaude, quante righe avrebbe dedicato la Repubblica all'evento? Continuare ad agitare lo spettro della violenza, che si tratti di fischi, scritte murali, lancio di ortaggi o di mendicanti e lavavetri, finirà coll'essere, oltre che una scemenza, un'istigazione. Se occupare un edificio o entrare in un cinema senza pagare può significare a Bologna un'accusa di insurrezione contro lo stato, non è forse, questo, un invito a fare almeno sul serio? Il ceto politico e la grande stampa hanno perso il senso delle proporzioni. Per chi ha potere e chi non ne ha non vige lo stesso galateo. Chi dispone di tutti gli amplificatori per accusare decine di migliaia di donne di omicidio può ben incassare qualche pomodoro in piazza.

E per quanto non posso dire che mi sarei unita ai lanciatori di ortaggi né che li approvi, sono d'accordo con Bascetta, e con i lanciatori.

2.4.08

La Banda



Quando andai a vedere Funeral Party feci uno sforzo e mi moltiplicai, questa volta, per La Banda, senza neanche accorgermene davvero occupavamo una fila intera e potevo girarmi verso la mia vicina, una persona conosciuta, e commentare.
Già alla fine del primo tempo si è acceso un intenso dibattito.
La prima fila composta anche da due minorenni che non si sono scomposte alla vista di qualche sottotitolo (una delle due ha risolto il problema addormentandosi) si è girata verso la seconda fila, dove sedeva l'anello debole della compagnia, lo scettico da ancora prima.
Prima fila capeggiata dalla fan n. 1, FanAri: Divertente no?
Seconda fila capeggiata dallo scettico: Divertente??? Deprimente vuoi dire.
Silenzio imbarazzante.
La prima fila si gira tutta all'unisono, la dormiente torna a dormire, gli altri fischiettano guardando il soffitto. C'è chi non resiste e va in bagno.
Per fortuna parte il secondo tempo.
La prima fila reagisce come prima, ridacchia, si commuove, si sorprende, si diverte. La seconda fila, in testa sempre lo scettico, prosegue sulla linea, pura e dura, del primo tempo, inamovibile.
Fine del film.
Sorrisi soddisfatti in prima fila.
Un grugno nella seconda.
L'animata discussione continua fuori dal cinema. La guapa dello scettico non si pronuncia, non vuole peggiorare la sua situazione, per ora ammontano a 5 i film di guerra e fantascienza che si dovrà sorbire nel vicino futuro. La Reds è convinta di aver visto Little Miss Sunshine, e non c'è modo di farle cambiare idea, neanche a lei. Deve essere l'aria della Settimana della Cultura. FanAri invece non si regge, è su tutte le furie perché hanno osato fare l'intervallo, e dalla macchina ci richiama col cellulare costringendomi a mettere il vivavoce e mettendo in pericolo le ignare minorenni per farci notare che quella banda egiziana con le loro uniformi blu hanno portato finalmente del colore nel piccolo triste paese israeliano.
Il film non è egiziano, come avevo creduto tutto il tempo, grazie ai titoli di coda, in arabo e ebraico (interessantissimi, mi suggerisce lo scettico, ma hai visto come son belle le calligrafie, insisto io), ho scoperto che è una coproduzione israelo/francese.